Circa 250 tra carri armati e mezzi blindati dell’esercito siriano fedele al presidente Bashar al Assad si sono addensati oggi attorno a Rastan, la località al centro della Siria dove per il quarto giorno consecutivo infuria la battaglia tra militari disertori e forze governative,
mentre gli attivisti forniscono una lista provvisoria di una ventina di uccisi, di cui uno solo proviene però dalla stessa cittadina epicentro della rivolta armata. Lo squilibrio tra intensità della repressione militare e assoluta carenza di informazioni su cosa stia accadendo a Rastan da martedì scorso è indicativo del baratro in cui sembra lentamente scivolare la Siria, da decenni nota per essere il Paese più sicuro e stabile del Medio Oriente, da 40 anni dominato dalla famiglia al Assad e da un pugno di clan alawiti (branca minoritaria dello sciismo). Decine di migliaia di siriani sono intanto tornati oggi in strada in varie città, compresa Damasco e alcune periferie di Aleppo, per invocare la caduta del regime nel 31/mo venerdì consecutivo di proteste dedicato alla “lotta comune condotta dai popoli di Siria e Yemen”. Secondo il Consiglio generale della rivoluzione siriana – una delle principali piattaforme di attivisti sempre più spesso citata dalla tv panaraba saudita al Arabiya – sono almeno 27 gli uccisi in diverse località del Paese. L’agenzia Reuters ha invece contato solo quattro civili uccisi. L’Associated Press, almeno sei. La France Presse diciannove. Che diventano venti nella lista in arabo diffusa dal sito Internet del Centro di documentazione delle violazioni in Siria (http://vdc-sy.org/) La pagina telematica viene aggiornata in tempo reale e fornisce non solo le generalità delle vittime, ma anche i luoghi della loro uccisione e l’appartenenza alla categoria di “civile” o di “militare”. Grazie a questa dettagliata lista redatta dagli attivisti dei Comitati di coordinamento locale, si apprende che Hadi al Hajj Yusuf, civile, di età non precisata, è l’unica vittima accertata di Rastan. Altri nove sono di Homs e dintorni, sei appartengono alla comunità di Kfar Zita (Hama), uno a Qseir (a sud-ovest di Homs), uno a Duma e un altro a Qudsaya, entrambi sobborghi di Damasco. La versione ufficiale contesta questi dati e attribuisce le violenze a “terroristi armati”. A proposito di Rastan, centro a stragrande maggioranza sunnita e città natale dell’ex intramontabile ministro della difesa Mustafa Tlass (1972-2006), che per decenni aveva incoraggiato l’arruolamento dei giovani locali nei ranghi medi degli ufficiali, la tv di Stato riferisce dell’arresto di 179 terroristi. In tutta la Siria, sono invece sette – secondo l’agenzia Sana – gli agenti e i soldati uccisi in scontri con le cellule armate. Sul piano politico, mentre la Svizzera in accordo con l’Unione Europea ha inasprito le sue sanzioni contro Damasco, da Teheran il premier iracheno sciita Nuri al Maliki ha messo in guardia dal rischio di un’eventuale guerra civile a sfondo confessionale sunno-alawita in Siria, oppure di un possibile cambio di regime a favore dei sunniti. Proprio mentre si diffondeva la notizia della morte di almeno 18 sciiti in un attentato dinamitardo compiuto a sud di Baghdad, interpellato da al Manar, la tv del movimento sciita libanese filo-iraniano Hezbollah, Maliki ha affermato: “Per un Paese chiave come la Siria, circondato da sfide e crisi, se la situazione interna dovesse essere scossa e trasformarsi in una guerra confessionale, oppure se si dovesse verificare un cambio (di potere) lungo linee confessionali, l’intera regione precipiterebbe nel caos”.