La battaglia decisiva per la “liberazione di Damasco, e’ cominciata”. E’ quanto sostiene parte dell’opposizione siriana, mentre gli scontri con le forze governative sono continuate per il terzo giorno consecutivo in alcuni quartieri meridionali e raffiche di mitra sono risuonate brevemente anche in pieno centro. Ma le forze armate non danno per ora segni di sfaldamento, l’unica speranza di prevalere per i ribelli, in possesso praticamente solo di fucili contro le armi pesanti e gli elicotteri del regime.

A Mosca l’inviato dell’Onu Kofi Annan ha chiesto al presidente Putin di facilitare un compromesso per una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che fermi la violenza. ”Non vedo i motivi per cui noi non possiamo trovare un accordo”, ha risposto il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov. Ma finora non c’e’ nessuna indicazione che Mosca, storica alleata del regime di Damasco, accetti la bozza dei Paesi occidentali che prevede sanzioni contro la Siria se non rispettera’ il piano di pace dello stesso Annan. “I combattimenti non si fermeranno, andremo avanti fino alla vittoria”, ha detto all’Afp il colonnello Kassem Saadeddine, portavoce dell’Esercito libero siriano (Els) commentando gli scontri degli ultimi giorni a Damasco. E i Fratelli musulmani, influente componente dell’opposizione, hanno parlato di “battaglia decisiva”. Ma altri osservatori e fonti dell’opposizione si mostrano piu’ prudenti e l’esercito afferma di avere ripreso il controllo della situazione. L’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus) fornisce un bilancio di una cinquantina di morti nelle violenze di oggi, di cui 28 civili, 7 ribelli e 14 militari governativi o membri delle forze di sicurezza. Sette persone, secondo Ondus, hanno perso la vita nella sola Damasco, dove l’esercito ha bombardato i quartieri di Midan, nel sud, Kafar Suseh, nell’ovest, e Qabun, nel nord della citta’. Tra le vittime, secondo fonti militari anonime, figura il vice capo della polizia della capitale, generale Issa Duba, ucciso negli scontri a Midan. Ma l’episodio piu’ clamoroso e’ avvenuto a meta’ giornata, quando ribelli armati hanno aperto il fuoco contro posti di blocco sulla Via Baghdad e sulla Piazza Bare Bahrat, dove normalmente sono organizzate le manifestazioni del regime. Parallela ai combattimenti armati continua anche la guerra della propaganda da entrame le parti. L’Ondus ha detto, citando “diversi testimoni”, che un elicottero governativo e’ stato abbattuto dai ribelli durante gli scontri a Qabun. “E’ assolutamente falso, sono tutte menzogne”, ha replicato una fonte militare. Difficile anche appurare la veridicita’ delle affermazioni fatte dall’ex ambasciatore siriano in Iraq, Nawaf Fares, secondo il quale Assad sarebbe pronto ad usare armi chimiche contro i rivoltosi, che avrebbe gia’ parzialmente impiegato contro la citta’ di Homs, secondo “informazioni naturalmente non confermate”, ha ammesso egli stesso. La Casa Bianca ha comunque messo in guardia il presidente siriano, ricordandogli “le responsabilita’” di chi e’ in possesso di simili armamenti. Il governo iracheno, nel frattempo, ha invitato oggi i suoi cittadini a lasciare la Siria, dopo che i corpi di 23 di essi, morti nelle violenze dei giorni scorsi, sono stati rimpatriati. Tra loro, due giornalisti uccisi mentre coprivano gli eventi: Ali Jabburi al Kaaby, del settimanale Al Riwaa, e il free-lance Falah Taha. Due morti che sui media internazionali non hanno provocato nemmeno una frazione dello shock e dell’indignazione che avevano accompagnato nei mesi scorsi l’uccisione di giornalisti occidentali.

 

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