Sulle terre di camorra c’è un’ingente quantità di beni confiscati alla criminalità organizzata, ma il non saperli mettere a frutto “dà l’immagine che le mafie siano più brave dello Stato” nella gestione economica.

È quanto ha sostenuto Raffaele Cantone, ex magistrato anticamorra e oggi indicato dal governo come futuro capo dell’Agenzia anticorruzione. Cantone è intervenuto alla presentazione della fiction Rai “Per amore del mio popolo”, dedicata alla figura di don Peppino Diana, ucciso giusto 20 anni fa a Casal di Principe. Figura ricorda Cantone che conobbe personalmente don Diana, a cui ha reso omaggio il nuovo vescovo di Acerra non appena insediato, “andando a visitare la sua tomba e ripubblicando, venti anni dopo, lo splendido testo di don Diana” che dà il titolo alla fiction. “Oggi si può guardare in modo completamente diverso rispetto a quegli anni -ha ricordato Cantone-. Lì sono stati arrestati tutti i boss, i latitanti, persino la seconda e la terza generazione dei camorristi che si vedono nel film”. Tuttavia in quei territori “la camorra c’è, ed è perfino riuscita a fare a meno dei boss”. Una parte la gioca anche la società civile, dice il magistrato: “è come se considerasse la camorra come una parte del tessuto sociale: c’è bisogno di mandare segnali di incoraggiamento” e non “carri armati. Si vedrà nella vicenda della Terra dei fuochi -ha concluso- se arriveranno davvero dei risultati, con bonifiche e lavoro”.

 

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