Confermato dalla Cassazione uno dei primi verdetti, se non il primo, che vede passare in giudicato la condanna per bullismo commesso da minorenni nei confronti di quattro ex studenti campani che avevano commesso “atti persecutori” nei confronti di un loro compagno di scuola, che per paura delle botte non si era ribellato e si era trasferito in Piemonte. La vicenda emerse quando la vittima finì in ospedale per lesioni a un occhio. Per i 4 la pena, sospesa, è di 10 mesi di reclusione, come deciso dai giudici minorili di Napoli. Le aggressioni fisiche e le molestie sono avvenute per quasi due anni a partire da quando E.P. frequentava il primo anno dell’istituto professionale ‘Manfredi Bosco’ di Alife nel casertano, e le dichiarazioni della vittima, ricorda la Cassazione, sono state “ritenute solidamente corroborate proprio dal filmato” di uno degli episodi persecutori, realizzato con il cellulare da uno dei ragazzi che partecipava alle violenze ai danni del compagno di scuola. Nel suo verdetto – sentenza 28623 depositato oggi e relativa all’udienza svoltasi il 27 aprile – la Quinta sezione penale della Suprema Corte concorda con i giudici della Corte di Appello per i minorenni di Napoli che avevano puntato il dito anche contro la scuola sottolineando “il clima di connivenza e l’insipienza di quanti, dovendo vigilare sul funzionamento dell’istituzione, non si accorsero di nulla”. Nel respingere il tentativo dei quattro imputati di alleggerire la loro posizione, la Cassazione afferma che “la tesi del carattere isolato di alcuni episodi risulta del tutto priva di specifico aggancio alle risultanze processuali”. Gli ‘ermellini’ ricordano quello che a loro avviso è un “brano estremamente significativo della deposizione” del ragazzo perseguitato che ha riferito come “ormai succube della violenza, dopo un iniziale tentativo di ribellione, aveva dovuto accettare condotte di sopraffazione ‘per evitare altre botte'”. La circostanza che E.P. “abbia continuato a frequentare la scuola nonostante il timore di ulteriori molestie (come anche l’assenza di iniziali denunce e di certificati medici), è privo di decisività, alla luce dello stato di soggezione psicologica, sul quale i giudici di merito hanno ampiamente argomentato, e comunque va letto alla luce del finale abbandono dell’istituto teatro delle vicende”, conclude la Suprema Corte. Così è stato respinto il ricorso di tutti gli imputati, nel frattempo divenuti maggiorenni e tutti originari di Piedimonte Matese (Caserta): Giuseppe Comparone, Antonio Faraone, Crescenzo Musto, Emiliano Raucci.

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