Nella mattinata odierna i Carabinieri del R.O.S. hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal G.I.P. del Tribunale di Bologna, su richiesta della locale Procura Distrettuale Antimafia, nei confronti di 18 indagati, a vario titolo, per associazione di tipo mafioso, estorsione, usura e tentato sequestro di persona a scopo di estorsione, aggravati dal metodo mafioso. Gli interventi hanno interessato le province di Rimini, Prato, Napoli e Caserta.

In provincia di Caserta sono stati arrestati Di Puorto Sigismondo, nato a San Cipriano D’aversa classe 1972 già detenutopresso la casa circondariale di Voghera (PV) e Di Tella Francesco, nato a Casal di Principe, classe 1966 ivi residente.

I provvedimenti scaturiscono da un’attività investigativa sviluppata in direzione di un’organizzazione criminale di matrice camorristica capeggiata dal pregiudicato napoletano Francesco Vallefuoco, operante in Emilia Romagna e dedita a diffuse attività estorsive e usurarie ai danni di numerosi imprenditori locali, i cui proventi illeciti venivano reinvestiti in attività immobiliari e commerciali in Emilia Romagna e nella Repubblica di San Marino.

Le indagini, in corso dal 2008, si sono già concretizzate in due precedenti operazioni, con l’esecuzione, nel febbraio del 2011, di un provvedimento di Fermo emesso dalla Procura Distrettuale Antimafia bolognese nei confronti di 10 persone e, nel marzo scorso, di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di altri 3 soggetti.

In entrambe i provvedimenti restrittivi agli indagati veniva contestato il reato di estorsione aggravata dal metodo mafioso.

L’odierno filone investigativo trae origine da un tentativo di sequestro di persona perpetrato, nel febbraio 2009, ai danni di un ristoratore di Rolo (RE), da tre pregiudicati napoletani, il cui mandante è risultato il citato Vallefuoco Francesco. Il delitto non veniva tuttavia portato a termine per il provvidenziale intervento del fratello della persona offesa e di alcuni dipendenti del medesimo ristorante, che costringevano i tre a darsi alla fuga.

Le successive indagini documentavano le pratiche estorsive ed usurarie consumate dall’organizzazione attraverso la “copertura legale” offerta da alcune agenzie di recupero crediti, tra cui la “ISES s.r.l.” e “ISES ITALIA s.r.l.”, avviate nell’anno 2008 all’apposito scopo di dissimulare le attività illecite dietro lo schermo legale delle agenzie stesse.

Il gettito dei proventi illegali veniva costantemente alimentato mediante collaudati meccanismi, che prevedevano da un lato il recupero con ogni mezzo delle somme di denaro dovute dai numerosi debitori (accresciute in modo ingiustificato rispetto al debito originario), dall’altro l’esborso di consistenti compensi da parte dei creditori committenti (oscillanti tra il 25% e il 50% dell’ammontare complessivo del debito recuperato), pretesi al buon esito del recupero, considerando tale anche la semplice emissione di cambiali o assegni postdatati (di mesi o anche di anni) a favore del creditore. In non pochi casi, poi, lo stesso committente-creditore si è ritrovato costretto a soggiacere alle richieste estorsive dei sodali, che pretendevano il pagamento della loro ”parcella” senza che il committente del recupero avesse di fatto ottenuto la restituzione del proprio credito.

Gli indagati-esattori hanno posto in essere nel tempo pressanti azioni intimidatorie, talora violente, nei confronti delle vittime, parte delle quali ha fornito la propria testimonianza, confermando gli elementi investigativi progressivamente acquisiti.

Il racconto di alcune vittime ha inoltre consentito di attestare come il sodalizio indagato fosse operativo in Emilia Romagna e nella Repubblica di San Marino sin dal secondo semestre del 2006.

Per accrescere la propria influenza ed indurre le vittime a soggiacere in silenzio alle loro prepotenze, gli associati non esitavano ad accreditarsi quali appartenenti a clan camorristici campani, in particolare al “clan dei casalesi”, sfruttando la relativa forza d’intimidazione.

Alcune vittime dei soprusi, per sottrarsi alle continue vessazioni loro imposte, sono giunte a meditare il suicidio, in un caso tentando concretamente di attuare tale proposito. Altre vittime, vedendosi oramai sull’orlo del fallimento, hanno abbandonato le loro attività o, in altri casi, si sono rese irreperibili.

Sottoponendo le persone offese a continue minacce, intimidazioni e soprusi, talora anche nei confronti dei congiunti, il sodalizio è riuscito ad imporre il pagamento di ingenti somme di denaro, ovvero a costringere le vittime stesse ad intestarsi fittiziamente beni immobili ed attività commerciali, queste ultime poi impiegate per la consumazione di truffe. Ad esempio, una florida azienda di Calenzano, fatta intestare ad un prestanome, peraltro gravemente malato e successivamente deceduto, e stata condotta al fallimento dopo averla ampiamente sfruttata per perpetrare truffe ai danni di banche e di altri imprenditori.

L’attività investigativa ha consentito di documentare il coinvolgimento di professionisti iscritti ai rispettivi albi (commercialisti, notai, avvocati, broker finanziari) che, oltre a fornire alla consorteria indagata importanti informazioni e consulenze sui vari circuiti di investimento, garantivano una copertura sicura per operazioni di riciclaggio e/o reimpiego dei proventi illeciti in attività commerciali, immobiliari e finanziarie intestate fittiziamente a prestanome.

E’ stata accertata anche la disponibilità da parte del gruppo indagato di armi da fuoco, alcune delle quali regolarmente denunciate a nome di sodali e fiancheggiatori esenti da precedenti penali, altre invece di provenienza illecita.

Nel corso delle indagini sono state ricostruite anche le dinamiche conflittuali del sodalizio capeggiato dal Vallefuoco con il clan “Mariniello” di Acerra (NA) generate, in particolare, da contrasti inerenti alcune operazioni immobiliari.

In tale ambito, veniva documentato un progetto di omicidio ai danni di Francesco  Vallefuoco da parte di affiliati al citato clan acerrano, non portato a compimento per l’intervento di autorevoli esponenti del clan Sacco di S. Pietro a Patierno.

La risoluzione dei contrasti tra le due fazioni veniva successivamente assicurata dal clan “D’AVINO” di Somma Vesuviana, in cambio del versamento di una quota del 5-10 % degli introiti delle attività gestite dal  Vallefuoco.

Nel corso dell’indagine sono stati documentati significativi collegamenti tra il gruppo criminale indagato ed altri sodalizi, tra i quali i clan “STOLDER” di Napoli, “SACCO-BOCCHETTI-CESARANO”, di San Pietro a Patierno, gli “Schiavone”. Accertati anche i contatti del Vallefuoco con la famiglia mafiosa palermitana dei “FIDANZATI”.

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