La barba lunga e ben curata, i capelli rasati sulle tempie, le tre croci tatuate sul lato destro del collo, lo sguardo da duro. Sangue Blu esce dagli schermi televisivi e diventa realtà: c’è un giovane camorrista che tenta di scalare il potere criminale nei vicoli di Forcella, identico al boss interpretato dall’attore Arturo Muselli che in Gomorra 3 obbliga Genny Savastano ad uccidere Ciro l’immortale. I piani si sono definitivamente capovolti e ora è la nuova camorra a copiare le fiction: non sono più le produzioni televisive ad attingere dalla realtà delle strade di Napoli per trovare i personaggi da portare in scena ma i giovani camorristi a cercare ispirazione nei protagonisti delle serie di successo, copiandone non solo le gesta ma anche l’aspetto. Quella di Sangue blu, quello vero, è una storia che gli investigatori della squadra mobile di Napoli ricostruiscono a giugno dell’anno scorso, quando il 23enne rimane vittima di un agguato dal quale esce vivo per miracolo. Era nel suo territorio ma è stato avvistato da uno specchiettista – colui al quale spetta il compito di segnalare la presenza dell’obiettivo – del clan rivale. Pochi minuti dopo due persone lo raggiungono e gli scaricano addosso un intero caricatore. Sangue blu non muore ma passa più di sei mesi in ospedale ed ora che è tornato a Forcella, secondo gli investigatori, ha tutta l’intenzione di riprendersi il suo posto.
«Il suo ferimento – dice il capo della squadra mobile napoletana Luigi Rinella – rientra nelle fibrillazioni a Forcella tra gli eredi del gruppo di Sibillo e quelli del clan Mazzarella». E proprio Emanuele Sibillo, il boss ragazzino ucciso a 22 anni, è la figura a cui si ispirano i piccoli boss che aspirano a fare il salto: «L’atteggiamento è quello già visto, vogliono prendersi tutto e subito perché per loro la vita è breve e non c’è tempo di aspettare». Sbaglia però chi crede che ci si trovi di fronte a delle baby gang o a delle semplici paranze. «Qui non ci confrontiamo con la camorra strutturata della provincia o dei grandi cartelli napoletani, come l’alleanza di Secondigliano, quella che partecipa ai grandi affari, si infiltra negli appalti e ha rapporti con la politica. Una camorra che ha un approccio corruttivo-collusivo agli affari. Ma parliamo – avverte il capo della Mobile – di una camorra concreta, non di cani sciolti o di gangster. Sono soggetti e gruppi che usano i social per venire allo scoperto e comunque rappresentano strutture e interessi riconducibili ai grandi cartelli criminali».
Così per i clan che continuano a comandare sono utili due volte: rappresentano la miglior arma per il controllo del territorio e, in caso di conflittualità, possono essere utilizzati come risorsa armata. Ma c’è un altra caratteristica che li contraddistingue. Anche questa riconducibile al modello Sibillo. «Hanno un approccio che potremmo definire terroristico. Vanno in giro per i quartieri per mettere paura ai cittadini e spesso sconfinano nelle zone nemiche, per far vedere che non temono nulla e sono in grado di conquistare sempre più territori», dice Rinella che poi cita un altro esempio, quello di Michele Menichini. Secondo le indagini è tra i protagonisti delle stese tra dicembre 2017 e gennaio 2018. Ha il cranio completamente rasato e tre tatuaggi in testa: una tigre al centro, una bomba a mano da un lato e dei fori di proiettile dal’altro. Va con il suo gruppo a sparare per le strade di San Giovanni e Ponticelli, che sono il suo territorio, ma sconfina anche nelle zone del clan Mazzarella. «Tutti hanno i caschi in testa mentre lui è a capo scoperto, ben riconoscibile. Si deve mostrare, far vedere». Proprio come i boss delle fiction.