Nel nome di Dio «se per un musulmano è peccato recare violenza ad una pianta o ad un animale, figurarsi ad una persona…». Nel nome di Dio, il Clemente, il Misericordioso, «l’Islam ha già condannato ogni atto di terrorismo e lo spaventoso attentato di Parigi è da condannare senza se e senza ma». Nel nome di Dio, Allah, «ogni musulmano sia messaggero di pace e respinga sempre ogni violenza». La sede della comunità islamica di Napoli, al corso Arnaldo Lucci, è affollata per la preghiera del venerdì. Le parole dell’imam, Amar Abdallah, sono assolutamente inequivoche. Nessuno spazio alla violenza, nessuna forma di giustificazione verso chi uccide in nome di Dio. Musulmani tunisini, nigeriani, bengalesi, pachistani, sono qui riuniti insieme per pregare. Operai, ambulanti, camerieri, studenti. Molti di loro hanno lasciato il lavoro nell’ora di spacco, giusto il tempo necessario per inginocchiarsi e pregare in direzione della Mecca. Nelle testimonianze raccolte dopo il rito religioso, si colgono preoccupazione e rabbia. Preoccupazione per il timore che i fatti di Parigi possano scatenare ondate di xenofobia. Rabbia per chi i sentimenti di odio li alimenta: i terroristi, in primo luogo, che «usurpano il nome di Dio», ma anche chi – certa stampa e certe dichiarazioni politiche – strumentalmente confonde terrorismo e religione.