Adesso è Francesco Giorgi a vuotare il sacco, a fare i nomi, a illustrare il “listino prezzi” e ricostruire le battute da cui ha preso le mosse la rete internazionale di euro-corruzione svelata dal Qatargate. Che si estenderebbe pure a Marocco e Mauritania. La versione che il collaboratore parlamentare ha affidato agli inquirenti belgi inchioda il suo ex capo Pier Antonio Panzeri e, parzialmente, la compagna Eva Kaili, vicepresidente dell’Eurocamera destituita due settimane fa. La greca «era a conoscenza dell’origine del denaro» custodito dal partner per conto di Panzeri nell’appartamento di rue Wiertz in cui vivono insieme: «Ma Eva è estranea a questa rete. Anzi, mi ha chiesto più volte di smettere». Secondo quanto dichiarato adesso da Giorgi, e riferito da Le Soir, le relazioni privilegiate con il Qatar risalirebbero al 2018, quando, nelle ultime battute della precedente legislatura europea, Panzeri era presidente della sotto-commissione Diritti umani (Droi, nel gergo brussellese). È in questa veste che l’ex sindacalista incontra per la prima volta Ali ben Samikh Al Marri, già presidente del Comitato nazionale per i diritti umani del Qatar e oggi ministro del Lavoro. Quello di Al Marri è un nome ricorrente nel Qatargate e una presenza costante nelle relazioni con Bruxelles: protagonista di un’audizione dedicata ai diritti dei lavoratori proprio davanti alla Droi, aveva avuto bilaterali con Kaili e con il vicepresidente della Commissione Ue, il greco Margaritis Schinas. L’esponente qatariota si sarebbe avvicinato a Panzeri con il preciso obiettivo di usare la rete di conoscenze dell’italiano per far valere gli interessi di Doha nei palazzi Ue. È all’inizio dell’anno successivo che i due si accordano e la collaborazione prende il via: nei primi mesi del 2019 «abbiamo definito gli importi, che ho qualche difficoltà a ricordare, per i nostri interventi». Somme «in contanti». Ricostruzione, quella di Giorgi, che smentirebbe quanto detto da Panzeri al giudice istruttore Michel Claise a proposito del sodalizio con Doha, iniziato solo nell’autunno 2019, cioè qualche mese dopo la fine del suo mandato da eurodeputato, quando decise di fondare l’ong “Fight Impunity”. Nel board furono invitati a sedere personaggi di spicco internazionale, ma l’obiettivo dell’organizzazione, secondo Giorgi, era fare da copertura per non «destare allarme».

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