CASERTA – Nata dalla penna di Maria Grazia Rispoli, quella di G.G. è la storia di una contraddizione. Una donna che al funerale del padre si innamora dell’impresario delle pompe funebri. La donna è colta, insegna francese, ha 49 anni; l’impresario è rozzo, un po’ volgare, ed ha appena 30 anni.

La donna scrive lettere d’amore; l’impresario risponde con indecifrabili sms. La donna dichiara di odiare quel paese del sud nel quale è cresciuta, eppure non aspetta altro che tornarvi, spasmodicamente attratta dal giovane dai capelli lunghi ed i jeans grigi. E così via. Ogni aspetto della vicenda, che all’inizio è mesta e funebre, prende vita e si trasforma in un gioco ironico proprio grazie al movimento impresso dalla contraddizione. “Una storia interessante con un forte senso del grottesco”, la definisce Gea Martire, che sostiene di aver calcato ulteriormente quest’aspetto nella trasposizione teatrale del racconto che ha curato in prima persona, affidandosi poi alla regia di Mariano Lamberti.

Le voci sono molte: i parenti, l’amica, la vicina, la madre, l’impresario, il padre defunto, la protagonista combattuta. Ma l’interprete è una soltanto, Gea Martire, che porta fuori, sullo stesso piano, le voci di dentro e quelle di fuori, il ricordo e l’azione, il pianto ed il riso, in un’altalena che mette alla prova la maschera dell’attrice e sollecita l’attenzione del pubblico. “Passare da un piano all’altro”- dichiara infatti l’attrice-, “fra emozioni che coesistono e un po’ lottano, ma in buona sostanza si tengono a braccetto, mi diverte e mi dà, immediato, il senso della vita che inevitabilmente attimo dopo attimo ci conduce più o meno dolcemente alla morte”.

La donna che ci accoglie all’inizio è severa e triste, infastidita ed estranea al mondo cui è costretta a tornare per seppellire suo padre. Ha fretta di tornare da un uomo che non sa se ama ancora, ad un lavoro che ripropone sempre le stesse superficialità, insomma ad una vita che, senza essere entusiasmante, è pur sempre una comoda routine che le assicura il riscatto dalle origini. Ma l’incontro con Gennaro mette in discussione tutto questo, e così si ritrova fin da subito a desiderare uno sconosciuto dall’aspetto affascinante e la parlata rozza. Non un intellettuale, un professore o un avvocato, come da abitudine, ma un “becchino” dal sedere formidabile e le vocali aperte. I suoi occhi scatenano nella donna una sensualità dimenticata e, finalmente, la consapevolezza di non amare più la sua vecchia vita, il suo vecchio uomo, che proprio quando comprende esserle diventato noioso, le dichiara un amore ancora più profondo e consapevole.

E allora bisogna tornare nel vecchio paesino, usare ogni scusa- una fattura, un codice dimenticato- per rivederlo: persino il trigesimo è una festa, se vuol dire avere a che fare con Gennaro. D’altronde, l’accoppiata eros e thanatos è un classico. La storia di GG comincia con una morte, con l’angoscia per un corpo magro e rigido rinchiuso in una cassa, che si trasforma in desiderio erotico per un altro corpo, per un altro turgore, che tuttavia ha sempre a che fare con la morte. Questa dicotomia, che è madre di tutte le altre, genera l’ironia, la risata, il fantasioso distacco dall’evento luttuoso, che quasi ci fa credere d’averlo esorcizzato del tutto. La morte ha portato l’amore, ha lasciato rinascere la vita; la cinquantenne è tornata l’adolescente che nasconde le proprie ansie ad una madre che non capirebbe, che non ha altro scopo che quello di farsi bella per lui. Ed anche Gennaro, il cui punto di vista è sempre mediato da quello della protagonista, si lascia coinvolgere da quella passione dichiarata con una lettera fra le fatture, come se non aspettasse altro.

La voce di Gennaro è sempre riferita, raccontata dalla protagonista, ma alla domanda se la passione amorosa risenta della differenza fra uomo e donna, se possa cioè essere influenzata dal sesso e dalle attese sociali, l’attrice risponde che si tratta di un sentimento troppo privato ed unico, per calzarlo a forza in categorie predefinite. Certo, il punto di vista femminile è quello preponderante in questa occasione, ma proprio in virtù della capacità delle donne di venire fuori dagli stereotipi e dalle comode scuse che essi forniscono. Non è un caso se i prossimi progetti della Martire prevedono l’avvicinamento alle figure delle brigantesse, delle quali si metterà in luce soprattutto il coraggio indomito, il rapporto con la terra, la distanza da ogni pensiero strutturato.

Ancora secondo la Martire, l’amore è anche un’ancora di salvezza, la fantasiosa via di fuga di chi, come nella storia di GG, non riesce ad affrontare il dolore. L’impresario delle pompe funebri si materializza proprio nell’attimo in cui la donna deve decidere se e come guardare in faccia la tragedia che la circonda, e le si offre come un’evasione. “Ma la fuga non è mai una soluzione”, e così la morte non è lontana. Essa ci aveva accolti all’inizio, ed anche se l’ironia l’aveva messa da parte, dimenticandone la cifra stilistica, essa è sempre lì, e colpisce sul finale, a rivendicare quel dominio che non aveva mai perduto.

“La consapevolezza della nostra mortalità deve essere presente in noi, sempre, non un’ossessione, ma una certezza che deve servire a dare qualità all’effimero dell’esistenza. Distrarsi troppo e troppo spesso da questa consapevolezza rende arroganti, prepotenti, imbevuti di uno stupido senso di onnipotenza”, Gea Martire sembra parlare come Pascal, che già ammoniva l’uomo contro il divertissement, il superficiale di-vertimento dell’anima, che si volge altrove per non sentire il peso dell’esistenza. E così la storia di GG è un cerchio, nel quale la morte dà e la morte toglie, un intervallo di allegra incoscienza fra due punti di amara consapevolezza.

Lo spazio di Officina Teatro (San Leucio, Caserta) consente di gustare i mutamenti dell’animo e del viso dell’attrice, i cambi di registro, i tagli di luce netti che suggeriscono stati d’animo, luoghi e tempi, e tutto con la naturalezza e l’intimità di un teatro lontano dai clamori dello spettacolo. L’attrice condivide questo giudizio, sostenendo che, se non è semplice sottrarsi alle leggi di mercato, spazi come quello di Officina permettono di inseguire la creatività, di riprendere il contatto immediato con un pubblico di giovanissimi, ai quali consiglia di distinguere con serietà fra moda e passione autentica, di andare alla ricerca di maestri capaci di accenderli, e di mantenere stretto quell’entusiasmo adolescenziale che solo può alimentare l’amore per il palcoscenico.

Fiorella Federici

 

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