Piedimonte Matese – Gioia e malinconia accompagnano le esibizioni di Vinicio Capossela, moderno menestrello dei tempi perduti e dello spirito recuperato .A legarle dosi massicce di ironia, di affabulante carisma ed un gran senso musicale della presenza nella sua vitale erranza :”Roberto io voglio cum versare” ha detto volendo andare oltre la semplice esposizione dei suoi lavori letterari e musicali. Il musicista- cantautore – scrittore(nato da emigranti irpini in Germania) è stato proprio ospite della rassegna matesina del “Festival dell’erranza, in programma a settembre, ideato e organizzato dal direttore artistico, lo scrittore e psicologo, Roberto Perrotti. Per meglio dire il musicista irpino è stato il testimonial dell’anteprima della quarta edizione che avrà come filo tematico il tema-problema del confine, del limite, del bordo , della frontiera come illustrato al pubblico. L’occasione dell’incontro tra l’errante Capossela ed il palcoscenico dell’erranza è arrivata e il successo ha sigillato questa collaborazione umana ed artistica. Il “come” è avvenuto il contatto lo hanno spiegato, in un auditorium gremito di appassionati, arrivati dalla provincia e non solo sia Perrotti che il musicista . “Ho sempre pensato a te per questo festival” – ha esordito il direttore del festival. Caposella subito dopo ha raccontato come ha conosciuto dell’esistenza del festival incontrando e lavorando con Riccardo Carnovalini : “esiste un festival dell’erranza? Aveva risposto al suo interlocutore impegnato on the road sul documentario-film di Paolo Rumiz incentrato sull’Appia Antica. È nato così il contatto tra gli organizzatore del festival ed il cantautore irpino che, giocando ed “autobiografandosi”, suldoppio significato di erranza(errore e di movimento , vagabondaggio) ha spiegato la sua visione della vita tra arte musicale ed impegno esistenziale . Ne è nato un ricco, stimolante dispiegamento di richiami archeologici sui sanniti (prima dell’intervento-concerto ha visitato la mostra permanete sui sanniti /pentri rimanendo colpito dalla statuetta bronzea del corridore di Cila, gioiello dell’allestimento museale, letterari dalla Bibbia a Omero, cinematografici (Kusturica ,Sergio Leone), a riferimenti a vicende e figure familiari, al significato dell’ombra( “le canzoni della Cupa”, cioè di ciò che è nascosto, originario e primigenio magico non illuminato dal cartesiano e moderno spirito di geometria su cui ha svolto le sue considerazioni anche il direttore del festival ) stimolate dalle domande di Perrotti .Tutto scandito da uno stile colloquiale che andava dritto al cuore. Persino il suono delle impertinenti campane della confinante chiesa di S.Tommaso ha dato l’occasione di un simpatico siparietto . Gioia e malinconia .Sul “tempo perduto” il primo ad essere ricordato è stato invece Matteo Salvatore, cantastorie e raccoglitore di canzoni popolari omaggiato con un malinconico canto. Verso la fine dell’esibizione Caposella ha cantato tre brani tratti dal bellissimo doppio disco incantando il pubblico per poi autografare dischi e libri dopo lunghi intervalli di applausi.
Michele Martuscelli