NAPOLI – Un libro da leggere tutto d’un fiato. Sotto l’ombrellone, oppure di sera a casa dopo una giornata di lavoro, o magari proprio a lavoro, se si è navigati fannulloni. Insomma, “Il melodramma del baccalà”, Diana Edizioni, è un’opera imperdibile da godersi in qualsiasi posto e a qualsiasi ora.
Il libro di Gianni Ruggiero, giornalista de “L’Avvenire”, scrittore e pittore, sarà presentato venerdì 6 luglio alle ore 19 alla Libreria Treves di Piazza dl Plebiscito a Napoli. Assieme all’autore, saranno presenti Massimo Milone, giornalista Rai, Ottavio Lucarelli, presidente ordine dei giornalisti della Campania, e l’editore Gianfranco Della Rossa.
“Il Melodramma del Baccalà” (pagine 160, euro 12), è una riflessione ironica, spassosa, a tratti esilarante, sul nostro tempo. Senza cadere nel politicamente corretto, le storie dal Diluvio di Giovanni Ruggiero sono un semplice espediente narrativo, leggero e piacevole, per mettere alla berlina usi e costumi della nostra società. Dalla politica al calcio, passando per la culinaria e le mode tecnologiche, nulla sfugge allo sguardo divertito dell’autore. Un esercizio di stile a esorcizzare i tic, i pregiudizi, le scempiaggini. le paranoie di cui siamo vittime e responsabili allo stesso tempo. L’autore immagina che nel 2012… ci fu il diluvio universale; chi scrive – novecento anni dopo, nel 2912 – ritrova oggetti appartenuti alla vecchia civiltà e, insieme agli archeologi sottomarini, cerca di capire come fosse l’Uomo Asciutto vissuto prima del Diluvio.
In altri termini, come siamo noi oggi. L’apparente leggerezza è attraversata da una trama dissacratoria del vivere di oggi. Un libro, dunque, per riconoscerci e biasimarci tra un sorriso e l’altro. Parafrasando Beaumarchais, con “Il Melodramma del Baccalà”, Giovanni Ruggiero si affretta a ridere di tutto e di tutti nella paura di esserne costretto a piangere.
Giovanni Ruggiero è nato nel 1953 (ma vorrebbe che non si sapesse in giro); è giornalista, inviato speciale del quotidiano “Avvenire”. Alle parole ha spesso aggiunto i clic della macchina fotografica. Quando aveva 17 anni comprò (con comode rate mensili) la prima reflex. Suo padre la prese a male, poi gli faceva farsi ritrarre. La macchina fotografica gli è servita per illustrare reportage in diverse parti del mondo: Albania, Brasile, Colombia e così via, per citare in ordine alfabetico. Sempre rimandato al liceo scientifico (e una volta anche bocciato) ha avuto poi modo di laurearsi in Giurisprudenza e in Lettere (in Italia!), ma non lo ha mai fatto sapere ai suoi vecchi professori per non costringerli a porsi l’angosciante e intima domanda: “Ma dove cavolo abbiamo sbagliato?!”.
Un male lo ha costretto a un trapianto di fegato. Spinto dal bisogno di comunicare che la malattia non sempre è la fine di tutto, ha scritto insieme all’epatologo Antonio Ascione “Abbiamo vinto. Insieme” per le Edizioni Messaggero di Padova. Elaborando il ricordo dei suoi letti d’ospedale, ha inaugurato una nuova fase espressiva attraverso le immagini che compongono la serie “Memento”, la mostra che ha presentato in diverse personali.
Pubblichiamo, in anteprima, un brano del Melodramma del baccalà, intitolato “Fare politica mangiando”.
Quando abbiamo ospiti a cena, i complimenti sui piatti preparati da Anna si sprecano. Anna ne è lusingata, si dedica ai fornelli con la stessa passione che mette nello studio dell’archeologia. Anche la cucina, con le antiche ricette, rientra nei campi delle sue ricerche. Anna ha scoperto che tra la politica di un tempo e la buona tavola esi- stevano strette connessioni. Le è capitato, infatti, di scovare sommersi negli stessi siti archeologici, gli uni accanto agli altri, atti parlamentari e ricettari per preparare intingoli e manicaretti. Da qui il sospetto che poli- tica e buona tavola si coniugassero. A quanto pare, la gente del tempo, quando vedeva passare un politico, si dava di gomito e bisbigliava cose del tipo: “Hai capito quello chi è? Attenzione, non far vedere che stai guardando…” “Ma quello è…” “Zitto! Per carità!” “Dici che anche lui…?” “Ci vuole tanto a capirlo? Non vedi la pancia?” Anche i giornali insinuavano. Scrivevano che molti politici mangiavano anche tre volte al giorno. Ne nascevano accese discussioni. “L’ho sempre detto che i politici mangiano.” “Altro che! Ma in fondo sono persone come noi. Mangiano come noi.” “Eh no! Mangiano più di noi! Se lo lasci dire dal sottoscritto che ha un cognato consigliere comunale!” “Figuriamoci se fosse un ministro!” “Qui sbaglia – continua il cognato del consigliere – ci sono ministri che saltano il pranzo e si rifanno a cena, e sindaci che invece mangiano perfino quattro volte al giorno.” “Ma scusi, i ministri, con tutto quello che hanno da fare, dove lo trova- no il tempo per mangiare?” “L’abilità di un politico – diceva un altro – sta proprio in questo: riusci- re a mangiare facendo politica.” “O fare politica mangiando.” Un tavolo politico diventava una faccenda complicata: se la cucina era pessima i politici litigavano ancor di più, se invece era buona si correva il rischio che si accordassero. La politica era dilaniata da profonde spaccature. C’erano i sostenitori della carne e quelli del pesce. Ma il bipartitismo non era perfetto, perché poi quelli della carne, per vari conflitti interni, si dividevano in teorici della carne bianca (polli, conigli, eccetera) e in teorici della carne rossa (manzo, maiali e via dicendo). Anche nell’altro schieramento, gli appassionati della cernia e della spigola marcavano con sottili distinguo la differenza con quanti, invece, preferivano il baccalà.