FRATTAMAGGIORE – Prosegue il cammino di Cipriano e delle sue storie di casalese nelle terre dei clan, raccontate nel libro “Io Casalese”, di Antonio Trillicoso. E nella serata di venerdì 10 febbraio fa sosta a Frattamaggiore, presso la libreria “I Letterati”, dove grazie all’evento organizzato dal Movimento antimafia “Sottoterra”,
l’autore giunge per narrare appunto di Cipriano, adolescente di Casal di Principe, e di una quotidianità che per un normale abitante di questo territorio è resa estremamente complessa dalla diuturna presenza dello strapotere sia reale che occulto dei clan camorristici. La serata si apre coi saluti di Pietro Lupoli, rappresentante del sodalizio frattese che a due anni di distanza dalla sua nascita, oggi occupa un posto di tutto rispetto nel panorama delle associazioni antimafia. Nel ricordare lo scioglimento del consiglio comunale di Frattamaggiore del 2002, Lupoli, sottolinea come «la mancanza di ribalta mediatica non deve far pensare che la piccola cittadina napoletana sia immune dall’ombra lunga dei clan. Basta soffermarsi sul rapporto tra i circa 40 mila abitanti e la quindicina di banche presenti a Frattamaggiore, per avere il sentore di una potenziale attività di lavaggio del denaro proveniente dalle attività illecite».
Il dibattito è introdotto da Tommaso Ederoclite, docente della Federico II, che apre i lavori con la proiezione del cortometraggio “Memoria e rinascita”, dedicato ad Antonio Di Bona, contadino di Casal di Principe, vittima innocente della camorra il cui ricordo è testimoniato dalla presenza del figlio Salvatore, impegnato dal 1992 a portare in giro perle scuole la figura di un padre colpevole solo di essersi trovato nel famoso posto sbagliato al momento sbagliato. Formula, quel del posto e del momento sbagliato, nettamente rifiutata da Lorenzo Clemente, marito di Silvia Ruotolo uccisa quindici anni fa mentre andava a prendere suo figlio a scuola.
«Una donna – ruggisce Clemente – che non si stava avventurando in ambienti a rischio, ma che lungo un selciato di salita Arenella, al Vomero, nella cosiddetta Napoli bene, molto semplicemente stava facendo la mamma». «Una vicenda – insiste Clemente, oggi presidente del coordinamento campano dei familiari delle vittime innocenti della criminalità – che per lungo tempo ha avuto strascichi sconfortanti come quando il piccolo Francesco non veniva invitato alle feste a scuola perché ritenuto “scomodo” per aver perso la mamma in un agguato di camorra. Come quando giunti nel nuovo appartamento in cui fummo costretti a trasferirci per effetto delle misure di prevenzione il commento di un condomino fu: ingegne’, ma stiamo tranquilli? Come se le vittime innocenti di camorra fossero delle colpe».
«Colpe – commenta Trillicoso nel suo racconto dell’esperienza che lo ha portato alla scrittura del libro – che la stragrande maggioranza delle persone oneste, perbene, estranee all’universo criminale dei clan è costretta a pagare per il solo fatto di essere nata in territori tanto difficili come quello in cui viviamo». «Colpe – insiste l’autore – divenute tanto più gravi da quando, nonostante la grande opera mediatica realizzata da Roberto Saviano con Gomorra, l’immagine del popolo casalese ne ha risentito in maniera fin troppo negativa, diventando sinonimo di morte e criminalità».
«Ecco quindi – conclude Trillicoso – la necessità di dare vita ad un’opera come Io Casalese che racchiudendo le testimonianze dei casalesi, abitanti di Casal di Principe, e non del famigerato clan, vuole offrire uno strumento attraverso cui tentare di demolire uno stereotipo divenuto fin troppo impietoso per la tanta gente che quotidianamente è costretta suo malgrado a lavorare duramente per riappropriarsi di una dignità continuamente in bilico tra comuni sciolti per infiltrazione camorristica e le pistolettate in cui troppo spesso trovano la morte persone innocenti». Non manca in chiusura l’affondo nei confronti della stampa locale da parte di Trillicoso, tra l’altro ex corrispondente de Il Mattino, nel ribadire la necessità di aprire più spazio ad iniziative e al vivere antimafia piuttosto che dedicare puntualmente titoli a sette colonne all’ennesima sparatoria o all’ultima retata.
Vincenzo Viglione