Due intellettuali “disorganici”. Mai banali, sempre controcorrente. Come dimostrano nell’intervista-manifesto, fatta “da loro medesimi”, attorno al tema l’enigma delle lingue impossibili, sperimentazioni drammaturgiche per un nuovo teatro.
A porre le domande e a rispondere-rispondersi Giuseppe De Chiara, drammaturgo, Margherita Sagnibene, poetessa e critica. Gustatevi l’intervista.
Indi salimmo dagli Inferi alla città di luce
Prof. De Chiara, difficile scovarti, lontano dalla vita mondana, dai salotti bene e dalle corti, vai errando tra biblioteche, catacombe e storici anfratti, vuoi rivelarci qualcosa della tua attuale ricerca?
È molto semplice: portare i 22 Arcani Maggiori dei Tarocchi a teatro.
E in che modo?
Componendo 22 opere drammaturgiche, una per ogni arcano maggiore.
A quale fonte bevesti?
Nel 1995 lessi un bellissimo libro sui Tarocchi di Oswald Wirth e vidi come l’esoterismo dei Tarocchi altro non era che una bellissima filosofia del profondo in immagini. Pensai che sarebbe stato bello portarli a teatro ma non sapevo come, fino a quando non mi venne l’idea: trasformare ciascuno dei 22 arcani maggiori in un archetipo narrativo e da lì partire per scrivere una storia che nella sua trama, e nient’altro che nella sua trama, potesse esprimere i significati esoterici dell’arcano corrispondente. Stanno venendo fuori 22 opere di diversa lunghezza scritte in napoletano e in italiano in prosa e in versi e questi ultimi sono rivestiti dalla musica e cantati. Ho quindi coinvolto anche il mio amico Stefano Busiello, compositore di grande genio e talento, che tutt’oggi compone musica di transavanguardia per il progetto di messa in scena di questo teatro più di parola che agito.
Di parola… Pasolini definiva così il suo teatro nel Manifesto per un nuovo teatro del 1968, un teatro politico, dunque…
La mia scrittura nasce per intenti che almeno inizialmente non sono politici, ma l’archetipo narrativo ha una forza così travolgente e significati umani così profondi che sfugge a qualsiasi possibilità di essere controllato e questa sua potenza si sostanzia nella narrazione stessa. Mentre il teatro pasoliniano si sostanzia e si costruisce sulla tragedia greca, in un intento programmaticamente a- catartico, il tuo teatro, fortemente impiantato sul capovolgimento comico, rivela l’intento ultimo di fornire proprio per la sua vis comica una catarsi se non collettiva, come il percorso iniziatico degli arcani vorrebbe, almeno individuale.
Stai dicendo, dunque, che gli Arcani Maggiori contengono già di per sé una pedagogia o comunque una palingenesi?
Ti dirò che l’intento di ogni narrazione dovrebbe essere quello di creare una trasformazione interiore in chi la fruisce e in chi la crea o la trasmette; infatti gli Arcani Maggiori diventano racconti costruiti sul patrimonio mitologico, favolistico e storico di matrice napoletana e mondiale.
Dunque non sono storie nate dalla tua fantasia d‘autore?
È di proposito che la storia non sia io ad inventarla proprio per sottolineare il valore archetipico dell’arcano perché se fossi io ad inventarla non lo dimostrerei. Io voglio cioè mostrare che vi è già la storia e che essa si adatta e traduce in senso narrativo ciò che è il significato esoterico dell’Arcano in questione. Ad esempio ho trovato una bellissima fiaba tibetana, Il buon mago e il capo tribù su cui comincerò a lavorare non appena possibile, che non fa altro che esprimere narrativamente quelli che sono i significati esoterici del I arcano maggiore, il Bagatto. Me ne sono molto sorpreso ma questo indica che il valore dell’archetipo può manifestarsi nelle forme più impensabili. Molte volte, leggendo la Storia generale degli uomini e le nostre storie personali, ritroviamo dei modelli fissi e ritornanti dell’agire che Jung definiva archetipi. A volte li scegliamo, nei casi peggiori ne siamo travolti.
In che cosa consiste l’originalità del tuo lavoro?
Trasformare drammaturgicamente ciò che aveva forma narrativa, visualizzare ciò che era solo narrato. O intrecciare due o più storie che io ho ritenuto rappresentative dell’arcano in oggetto quali archetipi narrativi o a volte calare in ambiente napoletano fiabe e leggende di provenienza asiatica o d’altra origine. E la cosa mi è riuscita sorprendentemente di grande facilità, questo fa capire quanto la condizione napoletana sia fortemente caratterizzata in senso mediterraneo, innestandosi Napoli al centro non solo del mare nostrum ma anche del continente euro – asiatico – africano.
Che cosa intendi per catarsi collettiva e catarsi individuale?
La dimensione fortemente rituale del nostro modo di fare teatro, che poi non è solo nostro ma noi riteniamo che sia proprio del teatro di per sé, è quella della capacità del comico di presentare le aberrazioni a cui è giunto l’individuo e la collettività ma al tempo stesso la risata da la doppia capacità di prendere atto e al tempo stesso di distaccarsene. In tal senso il riso viene ad essere una forza rigeneratrice.
Che cosa significa, oggi, essere scrittori a Napoli?
È una condizione molto insolita essere scrittori in una città in cui molti dei potenziali destinatari della propria scrittura sono persone che non leggono. È per questo che ho scelto la forma drammaturgica.
E per te cosa significa essere poetesse a Napoli?
La mia è una poesia civile, fortemente d’ispirazione poco di mestiere, che si sostanzia e si costruisce sui fatti che accadono e sulle persone che incontro. Una poesia che fortemente manifesta l’esigenza di sostanziarsi e di rappresentarsi in un contesto ritualmente strutturato. L’innamoramento per i Tarocchi nasce dall’altissimo valore letterario e dalle infinite possibilità d’innesto che questi presentano.
Ma allora dobbiamo spiegare a chi ci legge la ragione di questa strana coppia. Cosa stiamo facendo insieme.
L’enigma delle lingue impossibili è un progetto di teatro civile che utilizzando gli Arcani Maggiori dei Tarocchi in forma antologica, li colloca in una cornice oracolare che spiega il significato dell’arcano in questione, dà alla luce nuove possibili interpretazioni dell’arcano, trasmette messaggi e riflessioni etiche e storiche, prepara all’attraversamento comico iniziatico della rappresentazione del progetto tout court dei 22 arcani maggiori. L’oracolo è una Sibilla che parla tante lingue diverse e che si lega linguisticamente all’altissimo codice dell’italiano e del napoletano e del codice metrico e musicale utilizzati nell’opera drammaturgica. Tra gli infiniti linguaggi ci è piaciuto richiamarci fortemente alla tradizione della scrittura oracolare le cui tracce si ritrovano nel nostro patrimonio culturale di tutta la cultura mediterranea e classica greco romana in particolare. Ed è per questo che parteciperemo al festival del teatro classico di Lovere in provincia di Bergamo nell’ambito della Settimana della Cultura Classica.
Giuseppe de Chiara
Margherita Sagnibene