di Cesario Liguori
Vi sono dei momenti nella storia in cui la politica non domina più gli eventi, ma viene trascinata da essi. A livello internazionale coincidono con le guerre, le rivoluzioni e le grandi crisi economico-sociali. Quando la capacità di mediazione della politica tra interessi contrastanti o quella di controllo sulle dinamiche economico-sociali viene meno, si aprono stagioni di grande instabilità in cui i progressi sociali e gli equilibri, faticosamente raggiunti, vengono rimessi in discussione.
La crisi dell’euro è questa. Ma sarebbe sbagliato considerala una crisi economico-finanziaria soltanto. E’soprattutto una crisi della politica che ha demandato all’economia la funzione di governo della società, non avendo saputo negli anni passati interpretare fenomeni che pure erano evidenti dall’altra parte dell’oceano o la progressiva espansione delle economie asiatiche. L’Europa delle burocrazie e degli interessi nazionali che paralizzano la politica non poteva che essere perdente. Per restare nel perimetro di casa nostra, non si è avuto il coraggio di mettere mano al mercato del lavoro, di riequilibrare i meccanismi di tassazione troppo sbilanciati sui redditi da lavoro rispetto alle rendite finanziarie.
Si è preferito temporeggiare sulla riforma del Welfare, con il risultato di dover poi fare tutto in fretta e quindi in modo approssimativo e pesante per gli strati più deboli della società. E’ il risultato assurdo di una politica che per non scontentare la gente, ha finito poi per scontentare tutti in modo clamoroso ed è stata costretta ad invocare, per fare il lavoro sporco, i cosiddetti tecnici. E’ il risultato di una politica che ha inseguito ed assecondato i desideri della gente invece che far valere i principi dell’interesse generale anche se questi potevano risultare impopolari. Ed alla fine i partiti ed i sindacati si sono scoperti improvvisamente fragili ed impotenti.
L’aver sacrificato spesso l’etica della responsabilità sull’altare del consenso a tutti i costi è la causa di questa sconfitta. Non aver voluto partecipare, nemmeno con rappresentanze ridotte, all’esecutivo Monti è per i partiti un errore ancora più grave; questo li allontana ancora di più dalla gente, appare come una fuga dalle responsabilità. Sarà estremamente difficile in futuro riannodare il patto con gli elettori, senza diffidenze. Ed alla fine il tecnico Monti, quando ha detto sui costi della politica quello che nessun politico aveva mai detto, che cioè i veri costi non sono quelli degli apparati , ma quelli di leggi e scelte sbagliate nel tempo che oggi i cittadini pagano, è quello che, pur con scarsa conoscenza dei regolamenti e delle regole del Parlamento è sembrato l’unico statista degli ultimi decenni.
Uno che, come diceva De Gasperi, invece di guardare alle prossime elezioni, guarda alle future generazioni.