di Mario De Michele
Era forse inevitabile che Silvio Berlusconi dividesse anche post mortem. Giuseppe Conte, ex premier di un governo sostenuto anche da Forza Italia, a differenza di molti altri leader di partito non andrà ai funerali di Stato (oggi alle 15, in un Duomo di Milano blindatissimo). Parole dure anche dall’ex ministro ed ex presidente del Pd Rosy Bindi: “Il lutto nazionale per una persona divisiva come Berlusconi non è una scelta opportuna. Ha segnato l’Italia in negativo e invece siamo nella fase della santificazione. Questo non va bene”. Il rettore dell’Università per stranieri di Siena, Tomaso Montanari, non farà mettere le bandiere a mezz’asta (“È vero che Berlusconi ha segnato la storia, ma lo ha fatto lasciando il mondo e l’Italia assai peggiori di come li aveva trovati”). Al Teatro Regio di Torino, alla prima di Madama Butterfly, ci sono stati “buuu” del pubblico per il minuto di silenzio in ricordo dell’ex premier. Quanto all’eredità di Berlusconi, il sostantivo va usato al plurale. C’è un’eredità politica, che riguarda il destino di Forza Italia. Il giorno dopo il grande dolore, lo spaesamento e la paura, Forza Italia cerca di compattarsi per resistere a un dopo Berlusconi tanto temuto. Alla vigilia dei funerali di Stato, nessuno si azzarda nemmeno lontanamente a mettere in dubbio la propria permanenza nel partito né critica vertici o mosse. Sia chi fino a pochi giorni fa era in bilico nel suo ruolo e agguerrita – come Licia Ronzulli, capogruppo al Senato – sia chi invece ha l’incarico di punta, il coordinatore Antonio Tajani, tutti parlano la stessa lingua: “Bisogna continuare sulla strada indicata da Berlusconi”. Nessuno vuole, o ancora può, scatenare guerre. Però adesso ci sarà da fare il lavoro più grande: esistere facendo a meno di Berlusconi. Il nodo è come. Poi c’è l’eredità imprenditoriale e patrimoniale. La Borsa sta scommettendo su una svolta nella galassia Fininvest. Dalla notizia del ricovero del Cavaliere le azioni ordinarie di MediaForEurope hanno guadagnato il 25% (+13% solo ieri), le speciali da 10 voti ciascuna il 16%. La quantità di compravendite è stata eccezionale, oltre 10 volte superiore alla media: in due giorni hanno cambiato proprietario 50 milioni di titoli Mfe A e 25 milioni di Mfe B. Il turbinio di scambi è alimentato dalle speculazioni sulla vendita dell’ex Mediaset, che oggi ha attività in Spagna e Germania e ambisce a diventare un polo mediatico di caratura europea. Venuto meno il legame politico con il fondatore di Forza Italia, è la tesi degli investitori, potrebbe allentarsi anche il controllo economico della famiglia Berlusconi sulle reti televisive che hanno accompagnato l’ascesa del quattro volte presidente del Consiglio. Il percorso dalla teoria alla realtà finanziaria è però irto di incognite. Prima fra tutte, la volontà degli eredi che tramite Fininvest detengono il 50% di Mfe. La lettera ai dipendenti di Pier Silvio Berlusconi non pare il preludio a un disimpegno. “Il nostro dovere è seguire la sua impronta indelebile, lavorare, lavorare, lavorare”, ha scritto l’amministratore delegato di Mediaset. “Dobbiamo costruire un gruppo ancora più forte e vivo”. Tutto ruota intorno alle ultime volontà dell’ex premier e a una percentuale: 33%. Per la verità non esistono conferme ufficiali che Berlusconi abbia lasciato un testamento. Ma è più che un’ipotesi anche perché la famiglia è articolata, il patrimonio da dividere altrettanto e il Cavaliere avrebbe meticolosamente dosato ogni mossa e passaggio per scongiurare, anche lontanamente, uno scenario alla Agnelli-Elkann. Dunque se esiste, come pare assai probabile, un testamento, magari con aggiornamenti successivi, lì dentro sono contenute le volontà di Berlusconi sulla destinazione del 33% del patrimonio. Cioè la quota disponibile per chi non ha coniuge ma più figli (5 in totale). Ciò significa grosso modo 1,3 miliardi dei 4 miliardi complessivi, calcolando partecipazioni azionarie e immobili. Altro discorso, sono opere d’arte e beni non registrati che sfuggono a una classificazione e valutazione. Ma in quel 33% dovrebbe rientrare anche la quota Fininvest. Semplificando: poiché il fondatore deteneva il 61% questo significa che circa il 40% viene assegnato in automatico ai figli (8% a testa) che sono gli unici altri azionisti della holding alla testa del gruppo. Il risultato è che già oggi Marina e Pier Silvio hanno poco meno del 16% ciascuno (32% cumulato), mentre i tre figli del secondo matrimonio con Veronica Lario (Barbara, Luigi ed Eleonora) vanno complessivamente al 46% e dunque raggiungono la quota di maggioranza relativa. Per dare un’idea terra terra: il dividendo l’anno scorso era stato di 150 milioni da distribuire in percentuale sul capitale. Dunque in questa ripartizione (32%-46%) il 20% è dirimente per il controllo. Ed è nella gestione di questo pacchetto che il Cavaliere potrebbe avere deciso di far entrare nella cassaforte Marta Fascina e, ipotizzano altre fonti, anche alcuni storici amici come Fedele Confalonieri e Adriano Galliani. Ma si tratta di pure congetture la cui fondatezza potrà essere verificata solo alla lettura del testamento dal notaio. Quando Ursula von der Leyen fu eletta Presidente della Commissione europea con il sostegno del M5S (2019), la proposta divenne quasi esplicita: Berlusconi e i suoi erano ufficialmente invitati a far parte, qui in Italia, di una coalizione Ursula. Assieme a Pd e pentastellati. L’esortazione fu ripetutamente reiterata sia nel corso del secondo governo presieduto da Giuseppe Conte, sia successivamente ai tempi di Mario Draghi. Ma Berlusconi non si lasciò convincere. E volle dare un segnale del fatto che non era persuaso dagli ursuliani respingendo in modo esplicito l’ipotesi di eleggere Draghi presidente della Repubblica. Perché? La differenza tra lo sperimentato centro-destra e la formula Ursula è che il primo può presentarsi alle elezioni, la seconda no. Finché resterà in vigore una legge elettorale anche lievemente maggioritaria (forse per sempre) soluzioni come il modello Ursula possono essere praticate solo a seguito di pareggi elettorali o di paralisi parlamentari. Il centrodestra inventato da Berlusconi nel ’93, invece, è in grado di conquistare la maggioranza nelle urne. Con la decisione di non farsi tentare da Ursula, il Cav è tornato alle origini, ha scelto il proprio successore alla guida del governo, Giorgia Meloni, e soprattutto ha offerto una prospettiva alla destra italiana che verrà dopo di lui. Tocca adesso alla sinistra iniziare quantomeno a immaginare come strutturarsi in maniera analoga per poter competere alle future elezioni politiche. Deve applicare a sé stessa l’insegnamento berlusconiano. E se lo fa abbastanza in fretta può raggiungere lo scopo di proporsi come un raggruppamento credibile e potenzialmente vincente.

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