di Mario De Michele
“Houston, abbiamo un problema”. Stavolta a lanciare l’allarme non è l’astronauta Jack Swigert che comunicò alla base l’avaria della navicella spaziale Apollo 13. L’Sos è partito da Enrico Letta. Il segretario nazionale del Pd pone un problema vero, legato alle storture del Rasatellum: “L’effetto combinato di questa legge elettorale e della riduzione del numero dei parlamentari – fa notare il leader dem – fa sì che se la destra prendesse il 40 per cento, e il fronte opposto si dividesse in parti uguali, a Meloni, Salvini e Berlusconi andrebbero il 70% dei seggi”. Sistema elettorale alla mano Letta ha oggettivamente ragione. E non si tratta di tecnicalità che, come sa per primo lo stesso condottiero dei democrat, non appassionano nessuno. Il mondo delle imprese e le famiglie sono sconquassate dal caro energia. A rischio ci sono, già nel breve termine, 250mila posti di lavoro. L’incalzante inflazione indebolisce ancor di più le fasce sociali meno forti. Letta ha bene in testa le priorità dell’agenda politica del centrosinistra che ha sviscerato in tutte le lingue del mondo. Ma è altrettanto importante segnalare che in Italia abbiamo un problema: il sistema di voto. Una trappola – ha dichiarato il numero uno del Pd – che avvantaggia Meloni e Salvini e relega il terzo polo a un ruolo totalmente marginale”. Perde tempo, e offende la sua intelligenza e quella degli italiani, Matteo Renzi a sbracciarsi per difendere la legge elettorale partorita da Ettore Rosato, attuale presidente di Italia Viva. Fior fior di costituzionalisti di spessore internazionale, invero molto più ferrati in materia dell’ex premier, hanno evidenziato come “il Rosatellum possa far saltare gli equilibri istituzionali”.
È un dato matematico che se il centrodestra arrivasse a quota 40 per cento per cento, con il fronte opposto diviso nei collegi uninominali Meloni, Salvini e Berlusconi si porterebbero a casa il 70% dei parlamentari. E poiché la matematica non è un’opinione e i numeri in politica contano, l’appello di Letta al “voto utile” al Pd ha ragion d’essere. Chi non vuole la destra ma vota 5 stelle, Terzo Polo o qualsiasi partito fuori dall’alveo del centrosinistra in realtà fa stravincere la destra. Capiamo bene che chi non è un elettore dem avrà difficoltà a ingoiare un rospo così grande. Ma politicamente, elettoralmente e strutturalmente è fuori di dubbio che il partito democratico rappresenti l’unico vero argine alla deriva di destra. Una destra pericolosa non perché, come l’accusa qualcuno è fascista o razzista (è un tema strumentale e propagandistico, anche se qualche rigurgito ogni tanto riaffiora), ma per un motivo ben più rilevante: ad esempio, ci sono la Corte Costituzionale e il Consiglio superiore della magistratura per i quali l’equilibrio parlamentare è dirimente. C’è di peggio. È in gioco la Costituzione. Con il 66% dei parlamentari la destra potrebbe cambiare la Magna Carta a colpi di maggioranza, senza dover passare attraverso il referendum per la ratifica. Insomma il rischio di quella che Letta definisce “una torsione maggioritaria” è reale. Per evitare che gli equilibri istituzionali e democratici (divisione tra i poteri dello Stato e sistema parlamentare repubblicano) siano blindati è necessario che la massa critica degli elettori che non voterebbero mai per Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia faccia fronte comune nell’uninominale. Il centrosinistra numericamente è l’unica coalizione che può contendere i collegi al centrodestra. Non votare per lo schieramento guidato da Letta significa votare per Meloni, Salvini e Berlusconi. Che si sappia.