Pensioni e quota 41: il governo continua a fare rotta su provvedimenti per tamponare gli effetti della legge Fornero nel 2023. Claudio Durigon, della Lega, sottosegretario al Lavoro garantisce che «non si tornerà pienamente a quanto prevede la legge Fornero. Avremo una Quota 41 con 61 o 62 anni per il solo 2023, come misura ponte verso la riforma organica che faremo il prossimo anno. Spenderemo meno di un miliardo per agevolare 40-50 mila lavoratori. Pensavamo anche a un bonus per chi resta a lavorare, ma la prudenza di bilancio ci induce a rinunciare». Durigon, nell’intervista odierna a Repubblica, dice anche: «Nella manovra metteremo una formula che evita lo scalone di gennaio per un gruppo di lavoratori. Quota 41 ci sarà e questo è importante: la stiamo studiando nei dettagli con la ministra del Lavoro Marina Calderone e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti», aggiunge. Per una riforma complessiva delle pensioni «bisogna discuterne con i sindacati e ci vuole tempo. Questa è una legislatura anomala, iniziata di fatto solo a novembre. In campagna elettorale avevamo detto che facevamo Quota 41, molto cara anche ai sindacati. E così sarà», dice ancora a Repubblica. Con la riforma allo studio il governo vuole «separare la spesa per assistenza da quella per la previdenza, per dare un segnale di sostenibilità delle pensioni italiane all’Europa e ai mercati. E poi penso a una flessibilità in uscita per tutti, a partire da una certa età e tenendo conto che il metodo contributivo sta diventando prevalente tra i lavoratori. Rivedremo tutte le uscite anticipate, con un occhio di riguardo a giovani, donne e mestieri usuranti». Per quanto riguarda il reddito di cittadinanza «la stretta sugli abili al lavoro ci sarà: l’assegno sarà sospeso di sicuro per sei mesi all’anno, se si rifiuta l’unica offerta di lavoro oppure non si seguono i corsi di formazione che vogliamo potenziare. Ma non prevediamo – sottolinea – un’applicazione retroattiva delle nuove norme. Non toglieremo da gennaio l’assegno a nessuno, almeno non dall’oggi al domani».
Le quote sono almeno tre: quota 101, quota 102 e quota 103 per un’uscita anticipata dal mondo del lavoro con un’età che può andare da 62 o 63 anni. Si allontanano invece, a sentire le ultime dichiarazioni del sottosegretario Durigon, gli incentivi per chi decide di restare con un aumento in busta paga che – era stato ipotizzato – potrebbe essere anche del 10%. Il tema è caldissimo ed i tempi sono molto stretti: perché se il governo non trovasse una soluzione entro dicembre, quando scadranno quota 102, Ape sociale e Opzione donna tornerebbe in vigore il regime previsto dalla legge Fornero da sempre visto come fumo negli occhi da molta parte della maggioranza, Lega in primis. E se per le prime due misure si prevede un proroga, bisognerà trovare una soluzione per tutto il resto. Ma la questione pensionistica rappresenta anche un elefante nella fragile cristalleria delle finanze pubbliche, perchè qualsiasi intervento costerà caro, abbastanza caro. Basti pensare che solo per l’adeguamento degli assegni all’inflazione da qui al 2025, appena decretato, serviranno 50 miliardi e gli spazi di manovra sono molto ristretti viste tutte le altre emergenze da tamponare, in primis il caro energia. E tra i dossier urgenti che il governo si appresta ad affrontare sul fronte economico non ci sono solo quelli strettamente inerenti alla legge di Bilancio: da tutti gli strascichi ancora aperti riguardo alla cessione dei crediti per il superbonus, alla stretta decisa sul monitoraggio sugli investimenti del Pnrr, di fronte alla necessità di accelerare sul Piano. Il segretario generale della Fabi Lando Sileoni denuncia la situazione di caos legata allo stop della cessione dei crediti sul superbonus con aggressioni ai dipendenti bancari e chiede con Ance e Abi un aumento della capienza del credito degli istituti; diversi emendamenti si annunciano al dl aiuti quater con Fi che chiede uno slittamento dei tempi. Per quanto riguarda il Pnrr, cominceranno dall’inizio della settimana gli incontri del ministro Raffaele Fitto con i singoli ministeri sui diversi progetti, per verificarne lo stato dell’arte mentre è stato annunciato uno snellimento delle procedure per i Comuni per l’affidamento di gare e lavori. In pensione con 41 anni di contributi. Il nodo è se vincolarla o meno ad una determinata età del lavoratore. Sul tavolo c’è anche la possibilità di un esperimento di un anno per valutare il peso reale della misura che, senza prevedere un limite minimo di età, costerebbe circa 4,5-5 miliardi l’anno. È la soluzione appoggiata dai sindacati che attendono una convocazione dal governo: «Riteniamo che 41 anni di contribuzione debbano bastare senza penalizzazioni», dice Domenico Proietti, segretario confederale Uil. Il pensionamento con 41 anni di contributi, spiegano i sindacati, permetterebbe di andare in pensione intorno ai 62-23 anni, in linea con la media europea. Difficile immaginare, però vista l’attuale situazione, formule di pensionamento anticipato senza una qualche penalizzazione rispetto all’assegno pieno. Basti pensare alla formula di Opzione donna: nei primi nove mesi del 2022 ne hanno usufruito quasi in 18mila ma con un taglio severo degli assegni che oscilla tra il 20 il 25%. Garantire anche in futuro pensioni adeguate e dignitose insieme alla sostenibilità del sistema resta quindi il nodo principale anche se secondo il sindacato, scindendo l’assistenza dalla previdenza la spesa si collocherebbe intorno al 13,5% del Pil, nella media Ue. E non a caso anche su un’altra richiesta la linea di Cgil, Cisl e Uil è compatta: quella di una pensione di garanzia per i più giovani, che possa garantire un futuro previdenziale anche a chi è appena entrato nel mondo del lavoro.