Da una parte ci sono i “bene, però” degli alleati. Dall’altra le proteste dell’opposizione che reclamano un passaggio parlamentare e potrebbero chiederlo in una riunione dei capigruppo della Camera nelle prossime ore. In mezzo, Giorgia Meloni rivendica il protocollo d’intesa con l’Albania sulla gestione dei migranti, ultimo atto di un “enorme lavoro, soprattutto diplomatico” portato avanti in questo anno, senza cui – è sicura – “i numeri degli ingressi sarebbero stati molto più alti”. In serata fonti di Palazzo Chigi hanno definito “totalmente fantasiose” le ricostruzioni secondo cui “non sarebbe stato condiviso dal Presidente del Consiglio con gli alleati di Governo” il piano siglato lunedì con il primo ministro albanese Edi Rama. “Fin dall’inizio”, è stato spiegato, c’è stato “il pieno coinvolgimento dei due vicepremier Salvini e Tajani e l’intesa è stata costruita passo dopo passo con la totale collaborazione dei ministeri coinvolti, a partire da Ministero degli Esteri, Interno e Giustizia”. Una decina d’ore prima la Lega aveva a sua volta smentito il “malumore” del suo segretario nei confronti della premier, definendo l’accordo “utile e positivo”. Il giudizio su questo “ottimo accordo della Meloni con l’Albania” è ribadito nel corso della giornata anche dal vice di Salvini, Andrea Crippa, con una postilla: “Però l’Italia deve fare l’Italia. E Salvini quando ha fatto il ministro dell’Interno ha fermato l’immigrazione clandestina”. La tensione sullo sfondo resta. Perché è uno di quei “però” che in questi mesi hanno infastidito la presidente del Consiglio, che più volte ha dovuto fare i conti con affondi leghisti, seguiti da messaggi distensivi di Salvini. E in ambienti di maggioranza si leggono come contromosse alcune sue scelte, come quella di non far partire il premierato dalla Camera (FdI ha il presidente del Senato e della commissione Affari costituzionali). Nonché il dirigismo con cui Meloni affronta il dossier migranti, caro ai leghisti: prima la cabina di regia affidata al sottosegretario Alfredo Mantovano, poi scatti in avanti come il Protocollo con l’Albania. “L’accordo rispetta tutte le norme comunitarie”, assicura il ministro degli Esteri Antonio Tajani. Il testo integrale lo ha reso noto il governo di Tirana, inclusi i due allegati che impegnano Roma a spese per 16,5 milioni di euro nel primo dei 5 anni e a creare un fondo di garanzia. Si attendono le valutazioni di Bruxelles da dove, per ora, si è espresso solo l’ungherese Oliver Varhelyi, commissario all’Allargamento: “È un modello interessante”. Il Protocollo non passerà per il Parlamento, ha chiarito il ministro Luca Ciriani, confermando il sospetto delle opposizioni. “È inaccettabile – ha attaccato la segretaria dem Elly Schlein -. Non lo fanno perché sanno che viola l’articolo 10 della Costituzione, per il quale l’asilo si chiede sul territorio della Repubblica”. Fra i perplessi, il presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi, secondo cui l’intesa sembra “un’ammissione di non essere in grado. Non si capisce perché non venga sistemata meglio l’accoglienza qui”. Il tema è caldo anche in Europa. Esternalizzare la gestione dei migranti è una “politica inefficace e disumana”, ha sottolineato intervenendo all’Eurocamera l’attrice australiana e ambasciatrice Unhcr, Cate Blanchett. Una “lezioncina da attrice miliardaria di Hollywood” l’hanno liquidata i meloniani. Per il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi questa intesa è “innovativa” e il guardasigilli Carlo Nordio si augura che “eventuali pronunce della magistratura non vanifichino la futura operatività”. In attesa dei meccanismi per il trasporto dei migranti dal Mediterraneo all’Albania, Rama ha messo in chiaro un paio di aspetti. Nell’hotspot a Shengjin (dove si prevede un trattenimento massimo di quattro settimane per le verifiche sul diritto d’asilo), “il numero è chiuso: 3mila posti. Ne arrivano altri se si liberano posti. Si può arrivare a 36mila all’anno se la burocrazia italiana va come un orologio svizzero, e sarebbe una prima volta nella storia”. Per Tirana non ci sono dubbi di incompatibilità con il diritto internazionale, ma “sta all’Italia – ha aggiunto Rama – verificare di essere in linea anche con l’Accordo di Dublino”.