Il giorno dopo le elezioni, il primo partito è quello dei francesi frustrati: succede, dopo l’iniziale euforia da pericolo scampato per l’intervento del Fronte Repubblicano. Ci sono i delusi perché erano sicuri di vincere, gli scontenti per aver dovuto votare per un partito diverso da quello di appartenenza, e i doppiamente frustrati: quelli che hanno donato il proprio voto per la causa e adesso rischiano di vedersi anche tagliati fuori dalla gestione del potere. E’ quello che potrebbe accadere agli elettori de La France Insoumise. Sono i giorni e le ore delle procedure della République, con i termini ufficiali da rispettare, l’osservanza delle norme costituzionali. Eppure, da domenica sera tutti guardano a quelle cifre e, ognuno dentro di sé, le somma: Fronte popolare senza La France Insoumise, più i macroniani, più i Républicains. Si arriva facilmente a 350, più di 60 seggi oltre la maggioranza assoluta. Riflesso automatico: si può lasciare fuori il tribuno Mélenchon e i suoi eccessi. Al momento tutti lo pensano, ma nessuno ne parla apertamente. Ufficialmente, si tratta. Si attende di vedere quanti Insoumis lasceranno il loro capo dopo François Ruffin e Clémentine Autain. O, più probabilmente, se ci sarà spazio per la creazione di un gruppo di volenterosi all’interno di Lfi, magari abbastanza numeroso e determinato da costituire un gruppo parlamentare esterno al partito melenchoniano. La risposta si avrà nei prossimi giorni, al massimo il 18 luglio, giorno in cui – secondo i termini costituzionali – dovrà riunirsi la nuova Assemblée ed essere nominato il presidente. Si capirà la disposizione dei gruppi ed emergeranno dai banchi dell’estrema sinistra, della sinistra riformista, del centro macroniano e della destra Républicains i contorni della nuova possibile maggioranza. In silenzio all’Eliseo, Macron oggi ha confermato – a termine – il suo premier dimissionario Gabriel Attal, affidandogli il compito di “assicurare la stabilità del Paese”. Poi ha ricevuto i rappresentanti del suo partito, Renaissance, che fa parte della coalizione Ensemble!. Si è parlato di coalizione dei moderati, degli spazi di trattativa, delle controparti accessibili. Di fronte al palazzo presidenziale, a place Beauvau, il ministro dell’Interno Gérald Darmanin riceveva a pranzo una trentina di esponenti della maggioranza. Darmanin, così come Attal, ha già fatto sapere di non voler rimanere nel governo e di volersi dedicare a un nuovo progetto politico “sul proprio territorio”, il nord della Francia. Per entrambi, pur non conoscendo il dettaglio dei progetti, si può affermare che si tratta di un riposizionamento in vista del 2027, scadenza del mandato di Macron e anno della prossima corsa all’Eliseo. Il rebus sul primo ministro è tutto da decifrare, probabilmente saranno necessari giorni. Non troppi, ha avvertito il ministro dell’Economia Bruno Le Maire, perché senza governo e senza una direzione di marcia si rischia la “crisi finanziaria” e il “declino economico”. Gli ha dato manforte la Confindustria francese, il Medef, che ha chiesto “una politica economica leggibile e stabile”. Al momento, con i negoziati che ancora devono cominciare per la costruzione di una possibile coalizione di moderati, le dichiarazioni tengono l’asticella alta: Mathilde Panot, una delle persone più fidate di Mélenchon, ha respinto ogni allusione a una coalizione senza di lui: “non è assolutamente squalificato” dalla competizione, è lui, ha proclamato, “che ha reinsegnato alla sinistra a vincere”. Mentre Darmanin, per la maggioranza macroniana, ha detto che di fare un accordo con gli Insoumis o semplicemente con chiunque li sostenga è fuori discussione. Il sindacato Cgt ha chiesto a Macron di “rispettare la scelta delle urne”. Le parole sono dure anche da parte della maggioranza uscente, che temeva di crollare e ieri sera si è ritrovata secondo partito. Ora vuole essere non soltanto ago della blancia ma la componente chiave di una coalizione moderata. Il centrista François Bayrou, anche lui di Ensemble!, pensa che “ci vorranno settimane per trovare una soluzione”. Nessuno sta parlando più di governo tecnico, qualcuno rilancia ancora i nomi dei presunti ‘super partes’ che potrebbero essere nominati al posto di primo ministro in un governo di coalizione: gli ex premier Lionel Jospin o Bernard Cazeneuve. Domenica qualcuno lo ha chiesto persino all’ex presidente socialista François Hollande. Che ha risposto elegantemente, parlando di altro e lasciando cadere nel nulla l’interrogativo.

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