Premessa irrilevante ma utile a comprendere il perché di questo articolo. Sul mio orologio biologico l’ora del sonno scocca sempre a notte fonda, a volta pure all’alba. Ho smesso da anni di combattere contro il mio ritmo circadiano. E anche nella notte appena trascorsa sono andato a dormire quasi al sorgere del sole. Da appassionato di letteratura classica ho tirato fuori da uno scaffale della mia libreria un testo comprendente opere di alcuni dei principali autori latini, tra cui Cicerone, Orazio e Sallustio. Sfogliando il libro l’occhio mi è caduto su un brano di Gneo Nevio, uno dei più importanti scrittori delle Fabulae Atellanae. La favola ruotava attorno a una donna, una casalinga di media cultura, che per quasi tutta la sua vita ha ricoperto incarichi pubblici nell’ambito politico. Per l’epoca un caso più unico che raro. Una donna perennemente impegnata in politica non si era mai vista prima. Incuriosito, ho iniziato a leggere qualche pagina. Dopo poche righe sono riuscito a trattenere a malapena un’esclamazione di sorpresa a voce alta (anche perché a quell’ora i vicini mi avrebbero linciato). Caspita! Ho detto tra me e me quando mi sono imbattuto nel nome della protagonista, tale Rosa Minichinus. Ho strabuzzato gli occhi. Ho riletto il nome scandendolo lettera per lettera: R-o-s-a M-i-n-i-c-h-i-n-u-s. Ma nooo!!! Non è possibile, ho pensato. Ripresomi dalla sorpresa, ho immediatamente avuto la risposta a una domanda che tanti cittadini di Orta di Atella si sono posti negli ultimi anni: perché Rosa Minichino è stata assessore comunale per quasi un trentennio? Ecco svelato l’arcano. L’Highlander della politica ortese ha antenate che hanno ricoperto ruoli pubblici di primissimo piano fin dal IV secolo a.C. La mitica Minichino dei giorni nostri ha la politica nel sangue. È un retaggio antico. Ancestrale. Al punto che, vista la sua longevità amministrativa, sembrerebbe essere stata affetta per quasi 30 anni dalla “sindrome della poltrona incollata al didietro”, molto diffusa tra i politici.

La Minichino però li batte tutti. Mentre sindaci passavano, salivano, cadevano, lei era sempre lì, pronta ad alzare la manina delicata in giunta, a partire dagli esecutivi targati Angelo Brancaccio, fino a quello capitanato da Giuseppe Mozzillo, passando attraverso quello a guida Salvatore Del Prete “Monsignore”. Una vita da assessore, sempre al servizio della gente, sempre impegnata per il bene del paese come si evince dagli unanimi attestati di stima che le vengono quasi quotidianamente manifestati dai cittadini entusiasti per il suo operato amministrativo. Prrr. Un impegno indefesso che andrebbe premiato con il conferimento della medaglia d’oro al valor politico. E con una cospicua pensione di anzianità, con tanto di trattamento di fine rapporto, per aver ricoperto con la massima efficienza possibile l’incarico di assessore a tempo (quasi) indeterminato. E sì, perché nella prossima amministrazione comunale, a prescindere dal vincitore, difficilmente potrà riappropriarsi della scomoda, per lei che si è sempre sacrificata per il popolo ortese, poltrona di assessore. Anche se per lei sarebbe blasfemo tenerla fuori dai giochi. Un danno irreparabile alla comunità. Non a caso, nella speranza del solito puntuale ripescaggio in giunta, appoggia alle attuali elezioni comunali il nipote (buon sangue non mente) Luca Mozzillo, candidato nella lista Pd. Quella più congeniale alla Minichino perché presenta tra candidati e loro sponsor politici il maggior numero di esponenti dell’Impero Brancaccio. L’Highlander della politica ortese ha messo in campo tutte le sue inesauribili risorse per condurre il nipote candidato alla vittoria.

Pur dolendomene enormemente mi sento in dovere di informarla che il nipotino deve fin da ora rinunciare al primo posto della lista Pd (collegata a Vincenzo Gaudino), in quanto è già in tasca ad Annalisa Cinquegrana, cognata nientepopodimeno che di Francesco Gianfranco Piccirillo. Con un sostenitore così non ce n’è per nessuno, neanche per tutti quelli delle altre liste. Grazie al cospicuo contributo (solo elettorale, sia chiaro) dell’autista di Nicola Caputo, eurodeputato Pd, la Cinquegrana sarà la prima eletta in assoluto. Lo ha fatto intendere a chiare lettere lo stesso Piccirillo tramite un post su Facebook: “Nel 2010 sono stato il candidato più votato in assoluto (con preferenza unica) nella lista con “Brancaccio sindaco”, ha tuonato l’attendente del parlamentare europeo. Come per dire agli altri candidati: “Fatevene una ragione, un posto in consiglio comunale è già assegnato a mia cognata”. In verità io ne ero già fermamente convinto. Contro la forza elettorale di Piccirillo c’è ben poco da fare. Sarebbe come tentare di fermare un uragano con le mani. Dopo questa breve parentesi automobilistica (attendo telefonate e messaggi per sapere chi ha capito la mia battuta) torno, per concludere, alla Minichino.

Oggi alla ribalta è il nipote Luca Mozzillo, mentre nell’aprile del 2016 salì agli onori della cronaca il fratello Stefano Minichino (che non ha nulla a che vedere con l’ex consigliere comunale). Il nome del fratello dell’immarcescibile Rosetta si fa largo nel “sistema Gmc”, quello raccontato da Sergio Orsi, già condannato a 2 anni e 8 mesi con rito abbreviato, ascoltato come teste nel processo che vede imputati, tra gli altri, Angelo Brancaccio per fatti risalenti al 2005, quando era sindaco di Orta di Atella. Sergio Orsi, fratello di Michele Orsi, quest’ultimo ucciso nel 2008 dall’ala stragista dei Casalesi capeggiata da Giuseppe Setola, dipinge la “Gmc” come una ghiotta occasione per gli amministratori comunali per piazzare amici e parenti nella società multiservizi. Tra i familiari assunti all’epoca spicca appunto il nome del fratello della Minichino, “messo a posto” come operatore ecologico, con contratto a tempo indeterminato, assieme a Tommaso Dell’Aversana, cugino di quell’altro Tommaso Dell’Aversana, ex assessore della giunta Brancaccio, oggi segretario del Pd ortese (evviva il rinnovamento e la discontinuità!). Non sono mai stato un giustizialista. E non lo sarò mai. Ma per la sola colpa di aver creato questi “mostri” Brancaccio meriterebbe, in sede politica, l’ergastolo.

Mario De Michele

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