Giacomo Petrarca

Tanto tuonò che piovve. E, su richiesta di Italia Notizie, dal cielo è caduto su Cesa il vademecum per il cambio di destinazione d’uso degli immobili in zona D. In calce la firma del sindaco Enzo Guida, del delegato all’Urbanistica Mimmo Mangiacapra e del responsabile del settore Giacomo Petrarca (link in basso). Ma più che dalla volta celeste le istruzioni fornite dal comune agli interessati sembrano provenire da Marte. Per qualsiasi ingegnere, architetto o geometra le linee di indirizzo messe nero su bianco non hanno nulla a che vedere con le norme sull’edilizia e sull’urbanistica attualmente vigenti in Italia. Si tratta di pure invenzioni, magari originali, ma sicuramente inattuabili, a meno che non si voglia incappare in possibili reati amministrativi e penali. Insomma è fantaedilizia e fantaurbanistica. Un unicum nel panorama nazionale. Una sorta di edilizia e urbanistica “fai da te”. “Creativa”, direbbe Giulio Tremonti. Ma anche alla creatività c’è un limite, almeno fino a quando Cesa non diventerà un’enclave con leggi e regole prodotte in loco. La San Marino della Campania.

MELE E PERE NELLO STESSO CESTO, URBANISTICA FANTASY

Cosa hanno ideato Guida, Mangiacapra e Petrarca per gli immobili in zona D? Si sono inventati di insana pianta che il decreto “Salva Casa” riguarda anche le aree destinate ad attività produttive, ovvero alle zone D. Ben oltre la fantaurbanistica, siamo alla fantascienza, o meglio al fantasy. “Il mutamento di destinazione d’uso – si legge nelle linee guida o di Guida – è consentito per singole unità immobiliari situate nelle zone A, B e C del D.M. 1444/1968 e nelle zone equiparabili”. In pratica è come applicare le regole del calcio al basket. Peggio ancora, è come iniziare una partita di calcio e poi quando si rientra dagli spogliatoi si continua a giocare ma a basket, senza cambiare il campo. Immaginatevi un cestista che deve fare canestro in una porta di 7 metri. Che sport sarebbe? Truccato, ovviamente. Guida, Mangiacapra e Petrarca stanno di fatto dicendo, anzi hanno scritto, che basta cambiarsi la maglietta per passare dal calcio al basket. È la storia delle mele e delle pere. È sempre frutta, ma sono frutti completamente diversi tra loro. Non possono essere mescolati. Così come, all’interno delle zone D, una cosa sono le case-ufficio, ben altra le case-turistico ricettive, strutture interessate anche dall’housing sociale. Mettere tutto nello stesso frullatore è un errore grossolano perché oltre alla macroarea D vanno considerate anche le categorie degli immobili che insistono in quella zona. In ogni caso sia sul piano edilizio che urbanistico le aree produttive (zone D) non possono in nessun modo essere paragonabili o equipollenti al centro storico (zona A), alle aree urbane consolidate (zone B) o alle aree residenziali di nuova espansione (zone C). È una contraddizione in termini. Un’assurdità edilizia e urbanistica. Un gioco di prestigio da maghetti di quart’ordine.

Enzo Guida

IL SOLITO MANTRA: C’È CHI AMA LA CITTÀ E CHI LA ODIA

Allo stesso tempo è facilissimo svelare anche il solito trucchetto del sindaco Guida: c’è chi ama la città, cioè lui, e chi la odia, cioè chi dice la verità. La consueta panzana dei “buoni” e dei “cattivi”. In materia di edilizia e urbanistica la distinzione non è tra chi vuole fare solo cose belle e chi vorrebbe, a detta del sindaco, ostacolare le cose belle, ma tra chi vuole prendere in giro i cittadini e chi spiega loro che la soluzione della squadra di governo è una balla spaziale, inattuabile secondo le normative vigenti. Ribadiamo un altro concetto: gli immobili delle zone D sono senza dubbio utilizzati per civili abitazioni, non sono né uffici o studi professionali, né tanto meno strutture turistico-ricettive. Non si discute. Come non si discute sul fatto che è necessaria una soluzione per i residenti che hanno pagato cifre esorbitanti per comprare un’abitazione per edilizia domestica. Nessuno punta il dito contro quelle persone. Vittime, non carnefici. Gli unici responsabili, di cui nessuno parla, sono gli imprenditori del cemento che per arricchirsi sempre più e ancora di più e ancora, ancora, ancora di più hanno speculato sulla pelle degli acquirenti che in buona fede pensavano di compare una casa per la loro famiglia mentre gli è stato rifilato un immobile per uso ufficio o con una classificazione turistico-ricettiva. Una vera cosa bella sarebbe quella di far pagare agli affaristi il prezzo del disastro nelle zone D. Ma Guida non menziona mai le lobby del mattone. Come mai? Eppure si spertica a ricordare che si tratta di strutture costruite altre 15 anni fa. Verissimo. Uno: chi le ha costruite e vendute come case? Due: Guida, che è sindaco da quasi 10 anni, finora perché non ha messo mai mano al problema?

LA VARIANTE AL PUC È L’UNICA STRADA PERCORRIBILE

Ed eccoci alla soluzione seria e attuabile di una questione che, ripetiamo per la millesima volta, va risolta. Come? Bisogna approvare una variante al Piano urbanistico comunale. Qui c’è un altro punto debole della fascia tricolore. Perché non ha sanato le abitazioni in zona D quando il consiglio comunale ha approvato il Puc, ovvero nel settembre 2021? Lo aveva promesso nella campagna elettorale del 2020. Sarebbe stato semplice. Invece di prevedere 400 nuovi alloggi per sfamare la bramosia affaristica delle imprese del cemento sarebbe bastato che il Puc ne prevedesse 300, ai quali aggiungere i circa 100 appartamenti che insistono su aree D. Partita chiusa. Definitivamente. E anche oggi l’unico modo serio e attuabile per risolvere la problematica è mettere mano allo strumento urbanistico con l’approvazione di una variante. Perché non si segue la strada maestra? La scorciatoia dei cambi d’uso finisce in un vicolo cieco. Qualora i permessi venissero concessi, con Petrarca che si assumerebbe una responsabilità enorme, si tratterebbe di atti illegittimi, quindi revocabili. Non si comprende perché, se non per fini elettoralistici, si opta per un sentiero sdrucciolevole quando c’è l’autostrada della variante al Puc che conduce in porto sicuro.

PARAMETRI VOLUMETRICI DIVERSI, EQUIPOLLENZA IMPOSSIBILE

Torniamo al vademecum da Mago di Oz e cerchiamo di andare con ordine, anche se non è per nulla facile perché si tratta di indicazioni in palese contrasto con le leggi vigenti e con il combinato disposto di esse. Sul piano strettamente edilizio si pongono alcune evidenti difficoltà. Escludendo comunque le zone D, il “Salva Casa”, come specificato anche nelle indicazioni del comune, prevede la possibilità di mutare la destinazione d’uso di un immobile o di una singola unità immobiliare. Quindi l’ufficio tecnico esamina le singole richieste, non si pronuncia sull’intero immobile, ad esempio su un palazzo composto da 20 appartamenti. Qualcuno ci spieghi, senza ricorrere a pagliacciate social, come verrà valutata la conformità alle norme edilizie del singolo appartamento (collaudo, agibilità, barriere architettoniche, ecc.).

Dal punto di vista urbanistico l’impresa è ancora più ardua. Le zone D hanno parametri volumetrici totalmente diversi rispetto a quelle residenziali. Nelle aree destinate ad attività produttive il parametro volumetrico riguarda l’altezza, la distanza dai confini e la superficie da occupare. Negli insediamenti di carattere commerciale e direzionale a 100 mq di superficie lorda di pavimento di edifici previsti deve corrispondere la quantità minima di 80 mq di spazio per standard urbanistici, escluse le sedi viarie, di cui almeno la metà destinata a parcheggi. Per quelle residenziali invece gli standard sono parametrati per numero di abitante. Ed a ogni abitante corrispondono 100 metri cubi di costruzione, ovvero 20 mq di standard. Già questo conferma che non si può giocare a basket su un campo di calcio. E viceversa. Insomma non ci può essere nessuna equipollenza perché sarebbe urbanisticamente e materialmente impossibile equiparare le zone D con quelle A, B e C.

GLI STANDARD URBANISTICI CALCOLATI AD OCCHIO E CROCE

Potremmo fermarci qui. Che si tratti di un vademecum-fantasy è lapalissiano. È “contra legem”, punto. Solo per completezza solleviamo altre contraddizioni. Non sta né in cielo né in terra, forse vale su Marte, asserire che gli standard sono quelli del titolo abilitativo che ha autorizzato la costruzione. Per legge è necessaria la verifica rispetto alla nuova destinazione impressa all’immobile, quindi gli standard vanno riconteggiati e si devono stabilire le modalità per reperirli o per monetizzarli. C’è di più. Per i servizi primari e secondari vanno specificate la qualità e la quantità, cioè va esplicitato in che modo viene verificata l’esistenza e la sussistenza di tali servizi. Anche su questo aspetto il paradosso nel paradosso del vademecum è che richiama il D.M. 144419/68, che suddivide gli standard urbanistici in tre categorie, ma all’atto pratico non lo rispetta. Se si tratta di fantaedilizia e fantaurbanistica si può fare tutto. Incluso prendere per i fondelli decine di famiglie, alle quali si potrebbe dare una risposta vera con la variante al Puc. Ma, per assurdo, diamo per buona l’impostazione di Guida, Mangiacapra e Petrarca. Allora il comune rilasci quanto prima tutti i permessi. Qualora i cambi d’uso supereranno il vaglio degli organi competenti avranno ragione loro. In caso contrario si assumano fin d’ora la responsabilità politica e amministrativa di aver aggravato la situazione con una pezza peggiore del buco. Mentre con la variante al Puc tutto andrebbe per il verso giusto. E i residenti potrebbero tirare un bel sospiro di sollievo uscendo finalmente dal limbo in cui sono stati catapultati da affaristi senza scrupoli.

Mario De Michele

IL VEDEMECUM PER I CAMBI D’USO

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