«Se guardo alle sfide raccolte e vinte in soli venti mesi di governo, c’è da sorridere a chi ha detto che me ne volessi andare, spaventato dall’ipotetico abisso di una recessione che fino a oggi non ha trovato riscontro nei dati». Così l’ex premier Mario Draghi in una intervista al Corriere della Sera. «Ero stato chiamato a fare, dopo una vita, un mestiere per me nuovo – ha aggiunto – e l’ho fatto al meglio delle mie capacità. Sarei dunque rimasto volentieri per completare il lavoro, se mi fosse stato consentito». E ancora: «Tante le sfide raccolte e vinte: noi siamo cresciuti più di Francia e Germania. Bisogna continuare a proteggere i più fragili. Putin? Solo lui può fermare i massacri». L’ex capo della Bce ripercorre le fasi che hanno portato alla caduta del suo esecutivo: «Il governo – dice – si poggiava sul consenso di una vasta coalizione, che aveva deciso di mettere da parte le proprie differenze per permettere all’Italia di superare un periodo di emergenza. Non avevo dunque un mio partito o una mia base parlamentare. A un certo punto, la volontà dei partiti di trovare compromessi è venuta meno, anche per l’avvicinarsi della scadenza naturale della legislatura. Con il passare dei mesi – prosegue Draghi – la maggioranza si era andata sfaldando e diversi partiti si andavano dissociando da decisioni già prese in Parlamento o in Cdm». Alcuni esempi: «Il M5s era sempre più contrario al sostegno militare all’Ucraina, nonostante avesse inizialmente appoggiato questa posizione in Parlamento e nonostante questa fosse la linea concordata con i nostri alleati in sede europea, G7 e Nato. FI e Lega erano contrari ad aspetti di alcune importanti riforme – fisco e concorrenza – a cui era stato dato il via libera in Cdm. Lega e M5s chiedevano inoltre a gran voce uno scostamento di bilancio». Draghi ricorda poi il momento più complicato, quello dei giorni tra la decisione del M5s di non votare la fiducia al dl Aiuti e il dibattito in Senato: «Le posizioni dei partiti erano ormai inconciliabili. Il centrodestra era disponibile ad andare avanti, purché i ministri 5s uscissero dal governo e fossero sostituiti da loro esponenti. Tuttavia, il Pd non era disponibile a far parte di quello che sarebbe diventato nei fatti un governo di centrodestra. Inoltre avevo chiarito che per me sarebbe stato impossibile guidare un governo di unità nazionale senza il partito di maggioranza relativa in Parlamento, il M5s».