È morto a Roma Pietro Ingrao. Politico, giornalista e partigiano italiano. Storico esponente dell’ala sinistra del Partito Comunista Italiano, fu direttore de l’Unità dal 1947 al 1957 e parlamentare alla Camera dei deputati ininterrottamente tra il 1950 e il 1992, di cui divenne anche e presidente dal 1976 al 1979. Ingrao era nato a Lenola, in provincia di Latina, il 30 marzo 1915, da una famiglia di proprietari terrieri dell’alta borghesia locale, ma con radicate tradizioni liberali. Pietro era il secondogenito di una famiglia di quattro figli. Dopo gli studi classici a Formia, si trasferì con la famiglia a Roma, dove prese la laurea sia in Giurisprudenza e che in Lettere e Filosofia. Tra il 1934 e il ’35 frequentò il Centro sperimentale di cinematografia, come allievo regista. Nel 1936, in seguito all’aggressione franchista alla Repubblica spagnola, intensificò i contatti con altri giovani antifascisti, e, tramite questi, con l’organizzazione clandestina del Pci. Tra i cospiratori c’erano sono Lucio Lombardo Radice e sua sorella Laura, di cui Pietro si innamora. Nel 1942, dopo l’arresto di molti componenti del suo gruppo, Ingrao entrò in clandestinità, operando tra Milano e la Calabria. Il 26 luglio 1943 organizzò con Elio Vittorini, a Milano, il grande comizio di Porta Venezia; lavorò inoltre all’edizione clandestina dell’Unità, prima a Milano e poi a Roma, dove nel 1944 entrò nel comitato clandestino della federazione del Pci. Nel giugno del 1944 Ingrao sposò Laura nella Roma appena liberata. La prima figlia, Celeste, nacque nel 1945; seguiranno Bruna (1947), Chiara (1949), Renata (1952) e Guido (1958), che gli daranno, negli anni, una folta schiera di nipoti e pronipoti. Nel 1947 Ingrao venne nominato direttore dell’Unità, incarico che ricoprirà fino al 1956. Nel ’48 entrò nel comitato centrale del Pci e venne anche eletto deputato per la prima volta: venne rieletto per dieci legislature consecutive, fino a quando, nel 1992, chiederà di non essere ricandidato. Nel 1956 entrò nella segreteria del Pci, dove restò per dieci anni. Nello stesso anno, visse drammaticamente la repressione della rivolta ungherese: tuttavia si schierò a fianco dell’URSS, cosa di cui anni dopo si pentì pubblicamente. All’XI Congresso del Pci nel 1966, rivendicò il “diritto al dissenso”; diventando il punto di riferimento per l’ala sinistra del Pcie di tutti coloro che volevano rompere con lo stalinismo. L’espulsione dal partito dei fondatori della rivista Il Manifesto, cui Pietro era molto legato, rappresentò per lui un momento di crisi profonda, ma non interruppe l’intenso dialogo con questi compagni e soprattutto con i movimenti sociali, esplosi in Italia nel “biennio rosso” 1968-’69 – in particolar modo con le lotte operaie e con l’esperienza innovatrice del “sindacato dei consigli”. Nel 1968 Ingrao è eletto presidente del gruppo parlamentare comunista della Camera dei Deputati: si apre così una nuova stagione di impegno e di riflessione sui temi istituzionali, che lo portarono, nel 1975, alla carica di presidente del Centro di Studi e Iniziative per la Riforma dello Stato (CRS). Il 5 luglio 1976 è stato eletto presidente della Camera dei Deputati, e in questa veste, nel 1978, visse in prima linea i giorni drammatici del sequestro e dell’assassinio del Presidente Dc Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse. Restò in carica fino al ’79, anno in cui chiese di essere sollevato dall’incarico. Nel 1989, Ingrao si oppose alla svolta di Achille Occhetto che trasformò il Pci in Pds, pur restando contrario ad ogni ipotesi di scissione. Nel 1991 aderì al Pds, come leader dell’area dei Comunisti Democratici. Abbandonò il partito nel ’93, aderendo poi a Rifondazione comunista, cui è rimasto iscritto fino al 2008. Tra la fine del secolo e i primi anni del nuovo millennio, Ingrao si è dedicato soprattutto all’attività di riflessione e di scrittura, senza rinunciare ad un impegno diretto sui grandi temi del nostro tempo: la pace, il razzismo, le lotte operaie, la democrazia. Nel 2007 ha pubblicato la sua autobiografia, Volevo la luna.