La premessa di tutto e’ che Berlusconi se ne deve andare. A quel punto il Pd e’ pronto, per un governo di transizione, per le elezioni necessarie per la ricostruzione del Paese, per un patto di legislatura tra progressisti e moderati, per un’alleanza di centrosinistra che non replichi i difetti dell’Unione. Ma tutto questo comincera’ da lunedi’.

Oggi Pierluigi Bersani si gode piazza San Giovanni tutta piena, non si cura di Matteo Renzi, contestato dai militanti, e scaccia come un’ipotesi “distruttiva” l’idea di usare il Pd o sue parti come “una ruota di scorta” magari per governi di transizione a guida Pdl che escludano i democratici. E su questo si prende l’applauso piu’ caloroso della piazza. Oggi le parole d’ordine sono fiducia e verita’. Il Pd, ha promesso Bersani, vuole “riportare l’Italia la’ dove deve stare. La’ dove ci aspetta il mondo. Riporteremo l’Italia alla sua dignita’, al suo buon nome, alla vocazione europeista che fu di Spinelli, di De Gasperi, di Prodi”. Ora “tra le cose che ci indignano di piu’ e’ vedere il nostro paese sbeffeggiato. Vedere che, all’estero, dell’Italia si ride. Questo non era mai accaduto: e questo non lasceremo che accada mai piu'”. Ma “L’Italia ce la fara’. Gli italiani ce la faranno”, in questo bisogna avere “fiducia”. I democratici non vogliono cavalcare la paura, per questo Bersani chiede “rispetto” per il suo partito – “basta con la denigrazione del Pd”, scandisce – che e’ pronto a “fare la sua parte” sia in caso di elezioni che in caso di nuovo governo. Ma la premessa a tutto cio’, alla ripresa del Paese, e’ “sbrigare una vecchia pratica” e cioe’ che “Berlusconi deve andare a casa”. “O da solo o ce lo manderemo noi, o in Parlamento o alle elezioni. Ma deve andare a casa”. Sul dopo le possibilita’ sono diverse. Il Pd lo ha detto anche al Capo dello Stato: “noi non cerchiamo ribaltoni o soluzioni di piccolo cabotaggio parlamentare”. Se c’e’ il cambiamento richiesto, la discontinuita’ unita alla credibilita’ internazionale, con un nuovo governo “noi siamo pronti assieme a tutte le opposizioni a prenderci le nostre responsabilita’”. Ma dopo questo servirebbero comunque elezioni. Il voto, allora, sara’ una sfida di ricostruzione del tessuto democratico, contro il modello populista e senza cercare “un nuovo imbonitore”. Ma per questa ricostruzione serve una “alleanza dei progressisti e dei moderati, un patto di governo per una legislatura di ricostruzione, per sostenere la riscossa del Paese, per sconfiggere il rischio che viene dalla peggiore destra d’Europa”. Nel campo del centrosinistra questa sara’ “una sfida” di credibilita’, per far dimenticare gli errori dell’Unione. E per il centro, che nessuno “vuole strattonare”, si trattera’ di guardare in faccia la realta’, contro il populismo e una destra aggressiva. Bersani si rivolge a chi aveva creduto che Berlusconi fosse meglio del centrosinistra e dice un no secco a eventuali soluzioni, come governi di transizione a guida Alfano o Letta, che scavalchino il Pd: “Vediamo bene le operazioni in corso. Vediamo la ricerca confusa di soluzioni che possano prescindere dal PD o ridurlo a una ruota di scorta, a una salmeria. No”. Bersani riserva due passaggi agli alleati e al partito. Ai primi, e a qualche settore del Pd, spiega: “Se non si alza la canzone popolare i cantanti da soli concludono poco! Le alleanze politiche sono dunque per noi la conseguenza, non la premessa, della proposta per l’Italia”. Al partito e ai giovani come Matteo Renzi che si scaldano a bordo campo, dice che si deve discutere ma nell’unita’ e nella solidarieta’: “se ci chiamiamo Partito Democratico, vuol dire che non facciamo il verso al berlusconismo ma che facciamo l’inverso del berlusconismo! E’ perche’ pensiamo che la comunicazione sta alla politica come la finanza sta all’economia: utili entrambe, buone, indispensabili: ma non possono prendere il comando, non possono dettare il compito!”. E il compito e’ ambizioso: “La nostra promessa e’ che riporteremo l’Italia la’ dove deve stare, la’ dove ci aspetta il mondo”.

 

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