Dentro le istituzioni, quella di Umberto Ambrosoli, è una voce fuori dal coro. Mentre tutto il Consiglio regionale lombardo di cui fa parte commemorava Giulio Andreotti, il figlio del commissario liquidatore della Banca Privata Italiana freddato nel 1979 dai sicari di Michele Sindona é uscito dall’aula. Quasi in punta di piedi.
“Non voglio fare polemiche”, ha detto il coordinatore del centrosinistra che lo aveva candidato governatore, sebbene fosse chiaro che il suo gesto avrebbe destato scalpore. “Ho una storia personale che si mischia” con i lati oscuri di quella del sette volte premier, ha spiegato ai cronisti ripensando al padre Giorgio, l’eroe borghese di Corrado Stajano. “Ma non è il caso – ha aggiunto – di fare polemiche: è giusto che le istituzioni ricordino gli uomini delle istituzioni, ma chi ne fa parte faccia i conti con la propria coscienza”. Un appello alla coscienza, facoltà di per sé individuale. E alla memoria, che potrebbe essere anche condivisa. Ambrosoli non é sembrato comunque voler creare clamore o cercare la sponda di altri. Semplicemente, è uscito e, in quel momento, se ne sono accorti in pochi: il suo impegno politico nasce del resto anche dalla sua testimonianza pubblica dell’esempio di papà Giorgio, ucciso quando lui aveva 7 anni. Nel libro ‘Qualunque cosa succeda’ (la prefazione è dell’ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi) ne ha raccontato storia e tragedia. Che sono una pagina di vita personale, ma anche uno spaccato degli intrecci oscuri fra politica e affari che spesso hanno caratterizzato la storia repubblicana: nel libro, Andreotti con i suoi rapporti con Sindona emerge come una figura chiave del sistema che avrebbe isolato Giorgio Ambrosoli, uno che “se l’andava cercando” per dirla con le parole del leader Dc scomparso ieri. Tutto ciò stamani dev’essere passato nella testa di Umberto Ambrosoli, nell’aula del Pirellone, quando gli altri consiglieri si sono alzati in piedi, da destra a sinistra, Pdl, Lega, Lista Maroni, Pensionati, M5S, Pd e Patto Civico per la commemorazione da parte del presidente Raffaele Cattaneo, che ha affermato che con Andreotti “se ne va un pezzo della storia italiana, dunque qualcosa che appartiene a tutti, amici e avversari politici”. Saputo del gesto di Ambrosoli, Cattaneo si è detto sorpreso, dichiarando che “quando si opera nelle istituzioni, ci sono responsabilità collettive che trascendono le valutazioni squisitamente personali”. Sulla stessa linea il governatore Roberto Maroni, anche lui in piedi in aula a ricordare uno dei simboli della Prima Repubblica: “Non è stato un gesto elegante verso un politico che ha segnato la storia d’Italia”. Ad Ambrosoli è arrivato però il sostegno di Riccardo De Corato, capogruppo di Fratelli d’Italia: “Lo capisco, è il minimo che si potesse fare, al suo posto avrei fatto la stessa cosa. E lo ha fatto ‘da signore'”.