Antonio Ingroia, ex procuratore aggiunto di Palermo e ora leader di Rivoluzione civile, “ha agito in violazione del generale dovere di equilibrio, inteso come equidistanza ed estraneità del magistrato rispetto alle parti processuali e agli interessi in gioco”. E’ uno dei passaggi del documento datato 7 marzo 2013 e inviato al procuratore generale della Cassazione dal ministro della Giustizia Paola Severino, relativo alle dichiarazioni fatte da Ingroia a proposito dell’annullamento con rinvio della sentenza di condanna di Marcello Dell’Utri deciso dalla quinta sezione di Cassazione.
Dichiarazioni rese in due interviste che ora comportano per Ingroia la richiesta di una “estensione” “dell’addebito contestato” dallo stesso pg della Suprema Corte ad Ingroia il 25 febbraio scorso e già trasmesso al Csm tramite il cosiddetto “atto di incolpazione”, relativo alle critiche rivolte da Ingroia alla Corte Costituzionale per il caso delle intercettazioni del Capo dello Stato e la decisione assunta nel conflitto tra procura di Palermo e Quirinale. Della vicenda si occupa oggi il Corriere della Sera che riporta ampi stralci del documento inoltrato al Pg della Cassazione. Al centro della richiesta del ministro, in particolare, le espressioni usate da Ingroia nei confronti del presidente della quinta sezione penale della Cassazione, Aldo Grassi, “espressioni insinuanti ed allusive”, che si sostanziano “in un giudizio pesantemente offensivo per i magistrati”, “un giudizio gravemente scorretto e gratuitamente lesivo della reputazione” Ma oltre a questo, si ritiene che Ingroia abbia violato quel “generale dovere di equilibrio” a cui un magistrato è tenuto. “Leggo sulla stampa che il ministro Paola Severino ha chiesto un’azione disciplinare nei miei confronti. Sono stupito: le mie erano solo critiche legittime e non attacchi personali”. Così Antonio Ingroia commenta l’iniziativa del ministro che ha chiesto al procuratore generale della Cassazione di “estendere l’azione disciplinare” per le dichiarazioni rilasciate dall’ex pm di Palermo dopo la sentenza della Corte Costituzionale che dava ragione a Napolitano sul conflitto di attribuzione sollevato nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia. Il ministro cita un passo di due interviste del 10 e 11 marzo 2012: “Ho la sensazione – aveva dichiarato Ingroia – che la sentenza e il dibattito che strumentalmente ne sta scaturendo rientrino in quel processo di continua demolizione della cultura della giuriisdizione e della prova che erano del pool di Falcone e Borsellino”. In un’altra dichiarazione Ingroia si era detto “sorpreso per questo esito perché conosco le prove che ci sono nel processo, ma non posso dirmi altrettanto sorpreso conoscendo la cultura della prova del presidente Aldo Grassi, che è totalmente lontana dalla mia” “Sono molto sereno”, dice ora Ingroia. “C’é stato un travisamento di senso delle mie parole. Non ho inteso offendere o insultare nessuno. Ritengo di avere esercitato solo un diritto di critica, che può essere anche aspra, ma ero preoccupato che una grancassa politico-mediatica potesse demolire la cultura della giurisdizione del pool”. “E’ passato un anno da quei fatti – aggiunge l’ex pm di Palermo – e il senso delle mie parole non è cambiato. Sono preoccupato per lo stato della facoltà di critica. Mi sorprende semmai che anche recentemente un mio collega mi abbia insultato pesantemente. Ma, come sempre, non ho reagito”. (ANSA).