Sfuma l’ipotesi che Pdl e Pd si presentino in commissione Affari Costituzionali con un testo unico come base per la riforma della legge elettorale. Domani la commissione si troverà di fronte a due diversi disegni di legge con un’ampia base comune ma che proporranno da un lato le preferenze (quello del Pdl) e dall’altro i collegi (quello del Pd) e sui quali si andrà dunque alla conta.

“Dopo tanti mesi questo resta l’unico punto aperto”, dice il presidente della commissione Carlo Vizzini, tutto sommato ottimista sull’esito finale della riforma. Dopo una giornata di frenetici contatti e trattative, l’intesa che sembrava a un passo si arena sul ‘niet’ del Pd alle preferenze (“dopo il caso Fiorito sono roba da 118”, dice il senatore democrat Stefano Ceccanti). Resta, comunque, una base comune per una riforma su un impianto proporzionale circoscrizionale con sbarramento al 5% e un premio di maggioranza del 12,5% alla coalizione vincente (senza soglie minime da superare per accedervi) . A quel punto in commissione si andrebbe a una votazione sull’uno e sull’altro testo, “uno alla volta”, fa sapere Vizzini. Sulla carta quello del Pdl ha più chance di passare anche se si tratta di una prova di forza tutt’altro che scontata. Perché un testo abbia l’ok serve infatti, se tutti sono presenti, il sì di 14 senatori. Il Pdl in commissione ne ha 10; Si arriva a 12 con l’Udc, d’accordo sulle preferenze (sono il suo cavallo di battaglia) e con Coesione Nazionale. Per arrivare a 14 saranno decisivi i due voti della Lega (Roberto Calderoli e Sergio Divina). Ma l’ex ministro della Semplificazione fa sapere di non voler votare nessuno dei due testi perché, “non stanno in piedi” rispetto alle sentenze della Corte Costituzionale che contestano il fatto che il Porcellum dia un corposo premio di maggioranza a chiunque vinca, anche con il 20% dei voti. Se nessun testo dovesse spuntarla la parola passerebbe all’Aula. Se, invece, dovesse passare il testo messo a punto dal Pdl, il Pd avrebbe comunque evitato di ‘mettere la faccia’ sulle preferenze (contro le quali, tra l’altro una parte del partito é pronto alle barricate) ma anche di essere additato come il partito che vuole tenersi il Porcellum. Il punto, però, per il partito di Bersani è anche un altro e oggi lo dice chiaro e tondo il segretario quando sottolinea di volere “una legge che non porta alla frantumazione”. Il fatto, dicono i ben informati, è che, anche se Berlusconi ha ormai aperto sul premio alla coalizione e non più al partito (con l’obiettivo di mettere insieme una serie di liste), al Pd il 12,5% di premio, conti alla mano, non basta. I 79 seggi che verrebbero attribuiti a chi vince per la Camera non bastano a governare nemmeno se si arriva al 40% . Anche per questo i democrat starebbero frenando sulla riforma contando sul fatto che anche se un testo dovesse uscire in qualche modo da Palazzo Madama, alla Camera, con il voto segreto, vedrebbe difficilmente la luce.

 

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