Mario Monti cerca di rompere l’assedio cui è sottoposto il governo, replicando colpo su colpo alle critiche degli ultimi giorni. E così in rapida sequenza si toglie parecchi sassolini dalle scarpe: a cominciare dal Corriere della Sera – di cui è stato per anni collaboratore –
che qualche giorno fa in un editoriale degli economisti Alesina-Giavazzi non ha risparmiato critiche all’Esecutivo. Ma anche verso i partiti, ed in particolare il Pdl con cui si rischia un pericoloso braccio di ferro sulla giustizia. E persino in Europa, visto che Monti, pur con la premessa di essere “grato” al rigore teutonico, non rinuncia a schierarsi con Mariano Rajoy sul delicato tema delle banche ed in favore di una revisione del Fiscal Compact che premi i Paesi virtuosi: posizioni che lo pongono in rotta di collisione con Berlino. Il presidente del Consiglio sceglie la platea del congresso nazionale dell’associazione di Fondazioni e Casse di Risparmio a Palermo per levarsi diversi pesi dallo stomaco. Il governo, dice in collegamento video da palazzo Chigi, “sicuramente ha perso l’appoggio, che gli osservatori gli attribuivano, dei poteri forti”. E per far capire a chi si riferisca aggiunge: “Non incontriamo infatti favori di un grande quotidiano che è espressione autorevole dei poteri forti, e presso Confindustria”. Evidentemente piccato dalla ramanzina dei due editorialisti, uno dei quali (Giavazzi) è diventato consulente del governo per gli aiuti alle imprese, il professore si prende la sua rivincita. Alla quale via Solferino replica con un laconico tweet del direttore Ferruccio De Bortoli: “Poteri forti, poteri storti, poteri morti”. Monti se la prende anche con Confindustria: il mondo delle imprese, dice, pur essendo il “principale beneficiario” della riforma del lavoro ne ha “sottovalutato” gli effetti . Ma è chiaro che il premier sente la pressione dell’opinione pubblica, dei giornali (anche stranieri visto che il Financial Times, con suo enorme rammarico, lo accusa di occuparsi troppo d’Europa e poco dell’Italia) e dei partiti: “Non voglio negare che avremmo potuto fare di più e meglio” ma “molte riforme, ora scontate, sono state messe a punto con grande rapidità e incisività”, è la sua replica. Per poi ammonire: i momenti difficili non sono alle spalle. Poi, forse proprio per allentare l’accerchiamento in casa, rilancia sul piano europeo: “Dobbiamo essere grati a chi, ed è il caso della Germania, ha tracciato la strada” del rigore che non deve essere messo in discussione, premette diplomaticamente. Ma, appunto, è solo la premessa: perché quello che dice dopo va nella direzione opposta a quella indicata da Angela Merkel. Prima sottolinea l’urgenza di misure europee per “spezzare il circolo vizioso fra vunerabilità del settore bancario e crisi del debito sovrano”. Poi sposa la linea dello spagnolo Mariano Rajoy che chiede una ricapitalizzazione diretta delle banche iberiche da parte di Esm e Efsf e non attraverso lo Stato spagnolo per non sottoporre il Paese alla tutela di Fmi e Ue come invece vorrebbe Berlino.