L’Unione europea raggiunge un accordo sul nuovo Patto di bilancio, che rafforza la disciplina imponendo regole di rigore comuni sui conti, e sulla crescita e l’occupazione, ma perde pezzi per strada. L’intesa sul nuovo ‘Fiscal compact’ è stata raggiunta, dopo un negoziato piuttosto serrato, solo da 25 stati membri:
oltre che la Gran Bretagna – fuori fin dall’inizio – a sorpresa anche la Repubblica Ceca non ha sottoscritto l’accordo, pur precisando che potrebbe ritornare sui suoi passi. Mentre la dichiarazione conclusiva sulla crescita e l’occupazione è stata approvata da tutti, tranne la Svezia il cui premier che guida un governo di minoranza, “per ragioni parlamentari”, non è stato in grado di sottoscriverla. Tutti e 27 hanno invece firmato l’intesa sul nuovo fondo salva-stati Esm. Il pareggio di bilancio diventa una “regola d’oro” per i 25 paesi della Ue che accettando il nuovo Patto hanno accettato di inserire l’obbligo dell’equilibrio dei conti nelle Costituzioni nazionali o in leggi equivalenti e si sono impegnati a fare scattare sanzioni ‘semi-automatiche’ in caso di violazione.
I paesi che hanno un debito superiore al tetto fissato da Maastricht del 60% sul Pil si sono impegnati inoltre ad un piano di rientro pari ad 1/20 l’anno, tenendo però conto -come chiesto dall’Italia – dei fattori attenuanti già previsti dal six-pack, il pacchetto di disposizioni sulla nuova governance economica. L’accordo sul nuovo Patto è stato tenuto in sospeso per alcune ore dalla Polonia, che – contestata dalla Francia – chiedeva di partecipare a tutti i summit dell’Eurogruppo. Alla fine ha prevalso un compromesso: gli eurosummit sono stati portati da due ad almeno “tre” l’anno, e uno di questi sarà aperto ai paesi non-euro.
Il compromesso non é però bastato a Praga, che ha anche problemi interni. I leader riuniti a Bruxelles, paralizzata dalla prima neve e da uno sciopero generale contro l’austerità, hanno dato il via libera alla creazione del fondo salva-stati permanente Esm, che dal primo luglio sostituirà quello provvisorio Esfm, rinviando però al vertice del primo di marzo la decisione sulle risorse (500 miliardi, come vorrebbe la Germania, o almeno 750 come chiedono altri paesi, Italia inclusa, la Commissione e il Fmi). Ed hanno soprattutto discusso di crescita e di occupazione perché – hanno scritto nelle conclusioni – “stabilità finanziaria e consolidamento di bilancio sono “condizioni necessarie per la crescita, ma non sufficienti”. “Bisogna fare di più affinché l’Europa superi la crisi”, affermano i leader. La difficoltà della Grecia a raggiungere un accordo con i creditori privati e le polemiche suscitate dal documento tedesco che chiede un commissariamento di fatto di Atene, sono stati i convitati di pietra: la questione è stata discussa “informalmente” a cena, dopo voci non conferemate che si sono rincorse per tutto il pomeriggio su un nuovo summit dell’Eurogruppo l’8 febbraio interamente dedicato al caso greco.
A ricordare che non c’é solo la strada dell’austerità, ci hanno pensato i sindacati belgi che hanno presentato simbolicamente il primo eurobond ai capi di Stato e di governo. Mentre il presidente dell’Europarlamento Martin Schulz ha reiterato la richiesta di Strasburgo di introdurre subito una Tobin tax sulle transazioni finanziarie. Il presidente della Commissione Ue ha presentato un rapporto dettagliato sulle prossime tappe per la crescita e l’occupazione che abbonda di freccette e grafici, ma scarseggia di risorse. Bruxelles è pronta però ad accelerare l’impiego dei fondi europei non spesi: un tesoretto di 82 miliardi entro il 2013, di cui otto miliardi per l’Italia, che dovranno essere destinati a progetti di creazione di posti di lavoro soprattutto giovanile. Barroso ha proposto di inviare un team di esperti della Commissione in Italia e in altri sette Paesi ad alta disoccupazione, tra cui Grecia e Spagna, che lavorerà con governi e parti sociali per valutare progetti di lavoro anche con l’aiuto dei fondi Ue non spesi.
Mario Monti è soddisfatto. L’Italia ha evitato brutte sorprese sul debito nel Patto europeo per una maggiore disciplina di bilancio e ha incassato un successo diplomatico sul fronte della crescita, con i partner Ue determinati a delineare, entro marzo, piani concreti per rilanciare il Pil e l’occupazione. La soddisfazione del presidente del Consiglio traspare dal sorriso del Professore in quella che è diventata l’immagine simbolo del vertice: l’ingresso del premier italiano a fianco di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy nella sala del Consiglio europeo, al termine della trilaterale che ha sancito il nuovo acronimo già in voga fra i giornalisti del summit: ‘Merkonti’, al posto dell’ormai superato ‘Merkozy’. Una chiara rappresentazione del fatto che ormai, almeno per la stampa europea, a guidare l’Europa sono Berlino e Roma, con Parigi che arranca a causa della zavorra elettorale. In realtà l’incontro a tre è quasi una formalità, in vista di un appuntamento più approfondito a febbraio a Roma. Meno di mezz’ora insieme per discutere sommariamente di Fiscal Compact (il patto di bilancio secondo la definizione coniata da Mario Draghi) e crescita. L’impressione che Monti trae dal breve incontro è più che positiva. Sul primo fronte, quello del nuovo trattato, il premier già nel primo pomeriggio è convinto che un’intesa – nonostante i paletti della Polonia – possa essere raggiunta. Lo stesso Monti lavora affinché ciò sia possibile, attraverso un compromesso che consenta geometrie variabile: per le questioni strategiche, anche i Paesi che non hanno adottato la moneta unica dovrebbero essere chiamati al tavolo, fermo restando le differenze fra chi non vuole entrare (Gran Bratagna) e chi non può ancora farlo per difficoltà interne o economiche (Polonia o Danimarca). Quanto ai contenuti, la tattica del ‘catenaccio’ adottata dall’Italia (e che ha visto un gran lavoro diplomatico di Enzo Moavero) ha dato i suoi frutti: Roma ha evitato che nella stretta sul rigore ci fossero misure troppo stringenti sul debito, ottenendo l’inserimento di quei “fattori rilevanti” (già previsti nella normativa comunitaria, con il ‘Six Pack’) che attenuano l’impegno ad un rientro di un ventesimo per i Paesi con un debito sopra il 60%. Anche sul fronte della crescita l’Italia incassa quanto aveva chiesto: non solo una dichiarazione di intenti, ma anche l’impegno a tradurre le parole in piani concreti entro il vertice di marzo.