Tra i big del Pd, i ‘dinosauri’ che Matteo Renzi vorrebbe rottamare, la mediazione sulle regole per le primarie c’é. Molto più difficile, invece, sarà evitare lo scontro con il sindaco di Firenze, che sabato non sarà all’assemblea ma manderà i suoi a gridare al colpo di mano.

Nella sfida per la premiership ci sarà l’albo pubblico degli elettori e il doppio turno limitato solo a chi ha votato al primo. “Non capisco perché ora si vogliano cambiare le regole che andavano bene nel passato”, attacca a distanza Renzi, alimentando dentro il Pd il timore, a cui dà voce Walter Veltroni, che “il partito possa spaccarsi”. Se non una blindatura, come denunciano i sostenitori di Renzi, le regole, almeno nella bozza in circolazione, mettono paletti sia ai candidati sia a chi vorrà andare ai gazebo per evitare, spiegano dirigenti democrat, caos come quello che portò ad annullare le primarie a Napoli. Per i candidati Pd si abbassa rispetto al passato il numero di firme da raccogliere tra i membri dell’assemblea, 90, o in alternativa serviranno 17 mila firme in tutta Italia. Candidati e forze alleate però dovranno dare nero su bianco alcune garanzie a chi vince, assicurando che sosterranno il vincitore delle primarie nella corsa a Palazzo Chigi e impegnandosi ad evitare spaccature dentro la coalizione. Due impegni precisi che, spiegano fonti democratiche, servono ad allontanare due spettri: che Matteo Renzi, se sconfitto e nonostante le sue rassicurazioni, si candidi lo stesso, in autonomia dal Pd, e che la coalizione vincente diventi una nuova armata Brancaleone in stile Unione. Ma sono soprattutto le norme per regolare i votanti e il doppio turno ad allargare la frattura tra il Pd e Renzi. Per votare bisognerà registrarsi in un ufficio ad hoc a partire da tre settimane prima delle primarie. Ci si potrà registrare anche la domenica ma sempre in un posto diverso dai gazebo: a chi firmerà il Manifesto per l’Italia sarà anche chiesto di firmare una liberatoria per la privacy così da consentire la pubblicazione dei sottoscrittori. L’altro punto, contestato sia da Renzi sia da parlamentari a lui vicino, come Paolo Gentiloni, è il doppio turno nel caso in cui nessun candidato raggiunga le primarie. E al ballottaggio potrà votare solo chi ha già votato al primo turno. Il responsabile Organizzazione del Pd Nico Stumpo smentisce le voci sulla bozza, assicurando che “non esiste nulla di prestabilito” e si deciderà sabato. Ma ormai è rottura con Renzi e i suoi. “Mi pare un errore grave – afferma il sindaco – immaginare un ballottaggio in cui possa votare solo chi ha votato al primo turno (e se la prima domenica ti ammali?). Mi pare un errore cercare di restringere la partecipazione”. Accusa che Pier Luigi Bersani respinge, ricordando che è stato lui a voler aprire le primarie ad altri candidati nel Pd, cioé in particolare al rottamatore. Sarà l’assemblea a decidere anche se, come ha ben presente Renzi, “il segretario ha sicuramente la maggioranza dei membri dell’assemblea”. Il realtà, più che i voti, il vero timore su sabato è la mancanza del numero legale: servono 497 delegati sui 950 per dire sì alla possibilità di altri aspiranti premier del Pd e per dare mandato a Bersani a definire regole e vincoli per candidati e alleati. E se non bastassero le regole a surriscaldare il clima ci sono le prospettive politiche con Veltroni che resta neutrale ma, definendo Monti “una risorsa”, sembra incoraggiare i suoi, l’anima montiana del Pd, a sostenere scenari alternativi alla premiership di Bersani.

 

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