La norma sulla ‘privatizzazione’ dei servizi pubblici (l’articolo 4 della Finanziaria-bis del 2011) bocciata dalla Corte Costituzionale riporta la situazione normativa a prima del referendum, ma prima ancora della legge Ronchi (poi abrogata dai quesiti). E, stando alle indicazioni emerse nella decisione della Consulta, sarebbero a rischio anche “le modificazioni successive”, tipo quelle contenute nel decreto di dicembre del governo Monti, il ‘Cresci-Italia’. Senza contare che la questione potrebbe arrivare ad intaccare anche alcune misure contenute nel decreto sulla Spending review.
L’acqua, cavallo di battaglia della campagna dei referendari contrari alle privatizzazioni, era stata esclusa dalla manovra-bis che, di fatto, riproponeva le norme abrogate dal referendum soltanto due mesi prima (il 23-bis della legge Ronchi). Il motivo centrale per cui la Consulta ha stabilito l’illegittimità costituzionale dell’articolo 4 è che viola l’articolo 75 della Costituzione, ciò quello che vieta il ripristino di una normativa abrogata dalla volontà popolare attraverso referendum. Per la Corte, infatti, quell’articolo ripropone nella sostanza la vecchia norma che il referendum voleva cancellare e anzi la restringe e la peggiora. Divisi, come nei giorni della campagna referendari, i due fronti: da un lato coloro che, oggi come allora, chiedono una maggiore attenzione all’efficienza dei servizi puntando a una serie di investimenti che possano garantire la qualità del servizio (tra cui Federutility); dall’altro coloro che esultano alla sentenza della Corte Costituzionale (come i movimenti per l’acqua pubblica) parlando di “vittoria e di forza della volontà popolare”. Nella decisione della Consulta si rileva che l’intento referendario era di superare le limitazioni, rispetto al diritto comunitario, delle ipotesi di affidamento diretto e, in particolare, quelle di gestione in house di pressoché tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica (compreso quello idrico). La nuova normativa, osservano però i giudici costituzionali, “non solo è contraddistinta dalla medesima ratio di quella abrogata, ma è anche letteralmente riproduttiva, in buona parte, di svariate disposizioni” della legge abrogata. Inoltre, questione di stretta attualità, con la sentenza vengono bocciate anche le successive modificazioni comprese quelle apportate dal governo Monti a dicembre con il decreto ‘Cresci-Italia’. E secondo, il governatore della Puglia Nichi Vendola sarebbero “a rischio anche quelle contenute nel decreto sulla Spending review”.