“Modificare le norme sulla revisione costituzionale che costituiscono la più intensa forma di garanzia rischia di mettere in discussione l’intero impianto della Costituzione”. Parola di Stefano Rodotà che, in un’intervista a Repubblica, chiarisce che non entrerà nel comitato di saggi che il governo sta per istituire al fine di agevolare il percorso di riforme istituzionali perché non intende accettare procedure extraparlamentari nella revisione della Carta.
Ad ogni modo, precisa, “finora” nessuno lo ha chiamato, ma “l’idea di una commissione estranea al Parlamento” non gli è “congeniale”: “la via corretta delle riforme costituzionali é quella Parlamentare”. Il costituzionalista spiega che non è contrario alle riforme, anzi, “modifiche come quelle riguardanti il bicameralismo e la riduzione del numero dei parlamentari vanno nella direzione giusta”, ma “si dovrebbe cominciare in Parlamento e nella sede specifica delle commissioni affari costituzionali”, non “costituendo una sorta di terza Camera, con le due commissioni che scelgono al loro interno i membri di una commissione speciale che procede a redigere il testo delle nuove norme”. La riforma più urgente per Rodotà è senz’altro quella elettorale, “la sola che potrebbe permetterci di riprendere a discutere seriamente di politica. E’ grave – aggiunge – che il Pdl subordini alle riforme costituzionali il cambiamento della legge elettorale”. Con l’eliminazione del Porcellum inoltre il “potere di condizionamento, di ricatto” di Berlusconi sul governo “verrebbe, non dico eliminato del tutto, ma certamente diminuito”. “Una cosa che ci permetterebbe di tornare alla normalità costituzionale, alla normalità politica”.