NAPOLI – A Napoli e nell’hinterland si registra “una accresciuta competitività tra i sodalizi delinquenziali” e ciò avviene in coincidenza di una congiuntura economica creando “un bacino inesauribile di manovalanza da utilizzare”.


E’ quanto evidenzia il presidente della Corte di Appello di Napoli Antonio Buonajuto nella relazione letta in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario. Buonajuto ha ricordato a tale proposito la recente “emergenza Scampia” (la faida in atto alla periferia settentrionale per il controllo dello spaccio di droga) e l’incremento dei reati associativi ( + 29,7 %) del contrabbando ( + 28,7) e delle estorsioni. Il magistrato ha sottolineato che “l’assenza dei capi ha prodotto anche una insolita successione all’interno della famiglia camorristica, non solo in favore dei giovani, spesso minorenni e già adusi alla violenza ma anche e soprattutto delle donne”. Le quali “senza alcuna remora e spavaldamente assumono il comando del clan, gestiscono piazze di spaccio, favoriscono ricercati e latitanti”. Buonajuto ha messo l’accento anche sul sistema di collusioni e sull'”area grigia” delle attività e professioni colluse. Ad esse fanno riferimento le frodi comunitarie (+ 5%) attraverso complessi circuiti di fatturazioni per operazioni inesistenti, e la contraffazione dei marchi che dimostra “la storica vocazione della criminalità partenopea all’industria del falso”. Per Buonajuto, “la giustizia penale è in affanno”. Il magistrato ha messo in relazione la gravità dello stato di salute della giustizia nel distretto partenopeo con le “riforme processuali mancate” e con gli organici che andrebbero rinforzati (il settore penale paga anche “lo scotto dei numerosi maxiprocessi sopravvenuti e pendenti”). Un allarme condiviso dal procuratore generale Vittorio Martusciello per il quale, tra l’altro, sono “rimasti irrisolti i problemi della lentezza dei procedimenti dovuta a un sistema di impugnazione ormai obsoleto in un processo di tipo accusatorio”. Martusciello ha parlato inoltre di “mutazione genetica” delle organizzazioni camorristiche: “non più bande armate dedite alla gestione dei traffici e delle piazze di spaccio degli stupefacenti, alla gestione della prostituzione, all’accaparramento degli appalti pubblici, al mercato dell’usura, alla gestione delle attività estorsive, ma strutture finalizzate all’inserimento nel mondo economico, vere e proprie imprese mafiose gestite da una sorta di borghesia illegale”. Imprese “intestate a prestanome di comodo, con vocazione sempre più transnazionale, che si avvalgono di società off shore operanti in paradisi fiscali o nei cosiddetti stati canaglia”.

 

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