“Noi contiamo di partire dalla prossima settimana, realisticamente le prime persone verranno portate già la prossima settimana nei centri in Albania. Non ci saranno tagli di nastri”. Lo ha detto il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, intervenendo alla festa de Il Foglio.”I centri sono analoghi a quelli fatti sul territorio nazionale, sono di trattenimento leggero. Non c’è filo spinato, c’è assistenza, non sono Cpr. Tutti possono fare richiesta di protezione internazionale e ottenerla in pochi giorni”. Centri che, come anticipato da Repubblica, la Corte di giustizia europea potrebbe però bloccare ancor prima dell’apertura.

Perché i Centri in Albania potrebbero essere un flop
L’operazione infatti, mediatica per il governo Meloni, potrebbe avere seri e immediati contraccolpi: dal rischio stop istantaneo alla denuncia per danno erariale. Perché, giuridicamente, il protocollo Albania è diventato inapplicabile dopo che, la scorsa settimana, una sentenza della Corte di giustizia europea ha di fatto demolito il presupposto su cui si basa. La definizione, cioè, di Paese sicuro affibbiata al luogo di provenienza dei migranti a cui possono essere applicate le procedure accelerate di frontiera. Una sentenza a cui i giudici di tutta Europa e i governi degli Stati membri sono tenuti a conformarsi. I giudici del Lussemburgo, infatti, hanno stabilito che per essere giudicato sicuro un Paese deve esserlo in ogni sua parte di territorio e per qualsiasi categoria di persone, senza alcuna eccezione.

La sicurezza al centro della questione
Ed è proprio la definizione di “sicuro” il nodo della questione. Il criterio con cui la Farnesina, a inizio d’anno, ha ritoccato la lista di 22 nazioni di provenienza dei migranti prevede invece che “la designazione di un Paese di origine sicuro può essere fatta con l’eccezione di parti del territorio o di categorie di persone”. Illegittimo, dice ora la Corte di giustizia europea. E a scorrere la lista, praticamente nessuno dei Paesi da cui provengono migranti che attraversano il Mediterraneo avrebbe più i requisiti per essere ritenuto sicuro: non di certo la Tunisia, né l’Egitto e neanche il Bangladesh da cui quest’anno è arrivato il maggior numero di richiedenti asilo e che, nelle schede della Farnesina, sono indicati proprio come “Paesi sicuri ad eccezione di alcune parti di territorio e per alcune categorie di persone”. Di fatto, a ben guardare la lista, solo chi arriva da Capo Verde (e quest’anno si contano sulle dita di una mano) potrebbe essere soggetto alle procedure accelerate di frontiera.

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