VILLA LITERNO – “Ho deciso io il compromesso storico tra Dc e Pci costringendo gli amministratori democristiani e quelli comunisti a fare un accordo dopo le elezioni comunali del 1988 a Villa Literno”. Durante l’udienza del processo a carico del consigliere regionale Enrico Fabozzi, che si è tenuta stamane al Tribunale di S. Maria C.V., il pentito Carmine Schiavone, collegato in videoconferenza, conferma la sua innata propensione alla megalomania.
Sollecitato dalle domande del pm Antonello Ardituro, ha dichiarato che “dopo la morte di Antonio Bardellino bisognava allontanare i politici socialisti dalle amministrazioni. Ernesto Bardellino, il fratello di Antonio, era infatti socialista – spiega Schiavone – allora facemmo fare un accordo tra Pci e Dc in modo che il Partito Comunista potesse sostenere i Democristiani. Fui io a dire a Fabozzi di fare l’accordo, altrimenti lo avrei fatto impiccare all’albero di noci del cimitero”.
Già a prima vista, la ricostruzione del pentito appare quanto meno fantasiosa. Poi messo alle corde dalle domande di Mario Griffo, legale di Fabozzi, il pentito Schiavone va più volte in contraddizione e le sue dichiarazioni fanno acqua da tutte le parti. Se da un lato, fa sfoggio di conoscenza diretta dei fatti (“me ne sono occupato io”), dall’altro, emergono dalle sue parole clamorose contraddizioni. Innanzitutto, Schiavone dice che l’amministrazione comunale era composta da 10 consiglieri comunali della Dc e da uno del Pci (Fabozzi), mentre risulta dagli atti consiliari che erano due i consiglieri comunali comunisti (Fabozzi e Biagio Ucciero). In secondo luogo, il pentito afferma che Fabozzi fu nominato assessore al Personale, mentre la sua delega era ai Lavori pubblici.
Un errore “fatale” visto che secondo Schiavone le ditte a cui affidare gli appalti pubblici erano indicate dal clan. Strano quindi che il pentito non ricordi che l’assessore ai Lavori pubblici fosse proprio Fabozzi. Arrampicandosi sugli specchi, Schiavone cerca di spiegare la strategia elettorale del clan: “Dopo la morte di Antonio Bardellino, bisognava allontanare i politici socialisti dalle amministrazioni. Ernesto Bardellino, il fratello di Antonio, era infatti socialista, allora facemmo fare un accordo tra Pci e Dc in modo che il Partito Comunista potesse sostenere i Democristiani”.
Rivelazioni choc? Macché. Cose dette e ridette durante il processo Spartacus. La sentenza dei giudici? Carmine Schiavone fu dichiarato inaffidabile. Eppure, oggi a molti anni di distanza ci ritroviamo lo stesso pentito a sputare bugie a destra e a manca sugli stessi identici fatti per i quali è stato giudicato (in via definitiva) inaffidabile.
Peraltro basta leggere le cronache politiche di quegli anni per comprendere come andarono le cose a Villa Literno: l’intesa Dc-Pci fu siglata sul piano provinciale tra i due partiti, con il via libera dei vertici nazionali. E il patto fu stretto proprio perché nello schieramento avversario figuravamo esponenti legati alla criminalità organizzata. Non a caso i due partiti (Dc e Pci) avevano già condotto, dai banchi dell’opposizione, battaglie comuni per la legalità contro l’allora amministrazione comunale.
E ancora: il beneplacito all’intesa tra democristiani e comunisti fu dato nel comizio di chiusura della campagna elettorale da un giovane Piero Fassino (allora responsabile nazionale Enti locali del Pci). Anche un bambino capirebbe, infatti, che a quei tempi, fine anni Ottanta, un’intesa tra Pci e Dc non poteva essere decisa a livello locale, senza un preventivo via libera dei livelli nazionali dei due partiti.
Ma c’è di più. Carmine Schiavone commette un altro gravissimo errore: sostiene che le elezioni amministrative di Villa Literno si siano svolte nel 1988. Falso. Il Comune è andato al volto nel 1987. Una palese bugia che gli viene rinfacciata proprio da Fabozzi che, durante l’udienza, chiede e ottiene di rilasciare dichiarazioni spontanee: “Tutto falso, furono accordi politici presi a livello provinciale l’anno delle elezioni comunali era il 1987, non il 1988”.
Meno male che Carmine Schiavone non è andato oltre il 1988, altrimenti, oltre al compromesso storico di Villa Literno, si sarebbe preso anche il “merito” della caduta del muro di Berlino (1989).
Mario De Michele