Se chiedete anche a un bambino se ha mai sentito parlare del Comitato Don Peppe Diana vi risponderà di sì. A riprova del fatto che seppur nata in sordina nel 2006 e in un clima plumbeo, quello dell’impero dei Casalesi, l’associazione è salita alla ribalta nazionale grazie al sacrificio e all’impegno di volontari veri. Ribadiamo una premessa già rimarcata nel primo articolo della nostra inchiesta sul mondo dell’antimafia: il lavoro svolto da tanti giovani per ricordare la memoria di don Diana, prete ucciso dalla camorra, sarà impresso sui libri di storia. Il Comitato e Libera hanno giocato un ruolo importantissimo nel risveglio delle coscienze in un territorio martoriato dai clan. Detto questo, da cronisti, abbiamo l’obbligo di denunciare le storture che col passare degli anni hanno trasformato in alcuni casi i due sodalizi da associazioni di volontariato in “società a responsabilità illimitata”. Tanto di cappello a chi, e sono tanti, ha dato l’anima e continua a farlo per combattere sul piano culturale e civile le cosche.

Quello che non ci va giù è l’Anticamorra Spa. Non sopportiamo i professionisti dell’antimafia perché il “volontario” (vedasi dizionario italiano) è chi presta la propria opera senza riceverne compenso. Ecco. Vanno abbattuti i sepolcri imbiancati. Questo è il tema. Da un puntino invisibile il Comitato Don Diana, oggi presieduto da Valerio Taglione, lui sì vero volontario e persona al di sopra di ogni sospetto (ci mettiamo due mani sul fuoco), è diventato un organismo che in diverse occasioni si è trovato a gestire soldi pubblici e privati. Centinaia e centinaia di migliaia di euro. Conoscere chi (parenti e amici) nuota in questo fiume di denaro non solo è legittimo ma doveroso. I duri e puri della legalità devono dar conto di tutto. Per ergersi sul piedistallo dell’anticamorra gli armadi devono essere sgombri di cadaveri. Altrimenti si corrono due rischi. Uno peggiore dell’altro. Il primo è quello di creare una cultura della legalità di facciata. Ci sono casi illustri. L’ex parlamentare Lorenzo Diana che ha fatto carriera politica. E collaboratori di giustizia a giorni alterni come Sergio Orsi rispetto al quale Dustin Hoffman è un attore di quart’ordine.

Il secondo rischio riguarda proprio l’aspetto economico. La lotta alla mafia si fa per impegno civile, cioè “a gratis” come direbbero a Roma, o per il vil denaro? Domanda d’obbligo quando si tratta di denaro pubblico. Su questo argomento fioccano gli aspetti da chiarire. Il sito www.dongiuseppediana.com documenta le attività ma non la composizione associativa. Né fornisce indicazioni sul rappresentante legale o sui bilanci del sodalizio. Da poco sono stati pubblicati i rendiconti solo del 2015, 2016 e 2017. Da quanto ne sappiamo (potremmo sbagliare non per colpa nostra ma per mancanza di trasparenza) tra gli altri fanno parte del Comitato Don Diana Gianni Solino, anche responsabile provinciale di Libera Caserta, Renato Natale, sindaco di Casal di Principe, Mauro Baldascino della cooperativa Solesud Onlus, “mente economica” che cura i progetti finanziati da Regione e Asl, Peppe Pagano, presidente della coop Agropoli Onlus e del Consorzio di cooperative “Nuova Cooperazione Organizzata” (titolare del marchio “NCO”, acronimo di “Nuova Cucina Organizzata”), Mirella Letizia, responsabile dell’Eureka Onlus, moglie di Pagano e assessore alle Politiche sociali di Casal di Principe.

Il Consorzio “Nuova Cooperazione Organizzata” di Pagano è assegnatario di beni confiscati alla camorra a Casal di Principe, San Cipriano d’Aversa e Santa Maria La Fossa. L’Eureka Onlus di Letizia gestisce altri beni sottratti ai clan a Casal di Principe e Santa Maria La Fossa. Provate a dire tra marito e moglie quanti beni confiscati controllano. Cinque? No. Dieci? Nemmeno. Venti? Fuochino. Addirittura 22 beni tra immobili e terreni. Vi pare “normale” che le coop di due coniugi si occupino di un numero così esorbitante di beni? Come fanno? E soprattutto chi sono i componenti delle cooperative e quanti soldi pubblici percepiscono? Infine, chi si spartisce questa torta nuziale gigantesca oltre alla coppia Pagano-Letizia?

Il responsabile della Nuova Cucina Organizzata vive e opera a San Cipriano d’Aversa. Pur essendo notoriamente di sinistra ha sostenuto alle penultime comunali suo cugino Gennaro Di Bonito candidato con il centrodestra. Quest’ultimo è il cugino di Ernesto De Luca, braccio destro del superboss, oggi pentito, Antonio Iovine “o’ ninno”. Di Bonito fu il più votato e divenne il vice del sindaco Enrico Martinelli, quello noto per i “pizzini” che riceveva dai capi dei Casalesi. Successivamente al pentimento di Iovine, Peppe Pagano ha preso le distanze dal cugino Di Bonito e ha fondato l’associazione politica ABC insieme a Francesco Diana e Guerino Di Bona, imprenditore legato ai fratelli Mimmo e Pasquale Diana, entrambi in odore di camorra. Di Bona ha sposato la sorella dei Diana ed è stato in società con loro. Dulcis in fundo, Pagano è nipote di Arturo Pagano, arrestato per camorra. Non solo. È parente di Massimiliano Caterino, alias “o’ mastrone”, poi divenuto collaboratore di giustizia. Per anni elemento di spicco dei Casalesi soprattutto nel campo degli affari. Sapeva tutto sui rapporti tra clan e imprenditori.

Per carità, avendolo conosciuto personalmente per noi Peppe Pagano è una persona perbene. Né tantomeno riteniamo che i nipoti debbano pagare per le colpe degli zii. Stesso discorso vale per Mirella Letizia. Lo affermiamo sempre per conoscenza diretta. Ma quanti finti paladini della legalità hanno gridato allo scandalo per la “semplice” parentela di un politico a loro sgradito con un camorrista? Una marea. Nel caso di Pagano nessuno scandalo. E zero grida. Giusto così. Ma dovrebbe valere per tutti. Torniamo al business dei beni confiscati. I coniugi Pagano e Letizia hanno messo le mani su 22 beni sottratti alle cosche. Entrambi fanno parte del Comitato Don Diana così come il sindaco Natale. Che guida una giunta composta tra gli altri dalla Letizia. Di recente il Comune di Casal di Principe ha deciso di uscire da Agrorinasce per gestire direttamente i beni confiscati. Sembra un cerchio magico. Un clan. Quello dei professionisti dell’antimafia.

Mario De Michele

(continua…)

 

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