Come ci sia finito un “crocifisso dell’altare di San Pietro del Bernini” tra i beni mobili e le opere d’arte di proprietà di monsignor Nunzio Scarano non è dato sapere. Forse serviva a favorire la preghiera di questo ‘sacerdote di mondo’ che, per spiegarne la provenienza, racconta agli inquirenti di averlo avuto in dono.
Fa parte di quel bottino, fatto di quadri di De Chirico, Labella, Guttuso, monili in oro e argenteria, per un valore di 5-6 milioni di euro di cui Scarano denunciò il furto dalla sua lussuosa abitazione di Salerno (800 metri quadri, pagata ufficialmente circa un milione ma che gli inquirenti sospettano sia costata molto di più). “Il cospicuo patrimonio finanziario” di mons. Nunzio Scarano, “quantificato in almeno 6,5 milioni di euro” che il gip di Salerno, nell’ordinanza di arresto definisce “assolutamente sproporzionato”, non era infatti costituito da sole case di pregio, ma anche da “investimenti mobiliari ed opere d’arte”. Tutti regali, racconta al pm che lo interroga nel giugno 2013, avuti in dono da nobili romani e dagli armatori d’Amico. E a dimostrazione di quanto dice esibisce una certificazione di donazione datata 8 dicembre 2011 a firma Maria Cristina D’Amico, in cui e’ scritto che in occasione dell’ordinazione sacerdotale lo zio Antonio D’Amico gli aveva regalato un crocifisso del Bernini. Alla morte dello zio gli era arrivato in dono anche un quadro caravaggesco, oltre ad argenteria, tappeti orientali e 40 mila euro annui. Peccato che il documento di riconoscimento di Maria Cristina D’Amico, allegato alla certificazione di donazione del dicembre 2011, abbia una data di rilascio del 21 maggio 2012. Maria Cristina, interrogata dagli inquirenti, infatti dichiara “di non aver mai donato al prelato oggetti preziosi, quadri o altri beni di valore”, nè denaro. Piuttosto racconta che tra gennaio e marzo 2013, ovvero dopo il furto che Scarano ha subito presso la sua abitazione di Salerno, il sacerdote “le chiese di scrivergli una lettera perchè ne aveva bisogno per dimostrare la provenienza di alcuni dei suoi beni che gli erano stati sottratti”. La donna aggiunge “di aver accettato per superficialità, perché si era sentita in difficoltà nel rifiutare tale richiesta”. Quindi Maria Cristina D’Amico copia ciò che in un manoscritto Scarano le suggerisce di scrivere nella certificazione di donazione. In compenso, due altri interrogati, Massimiliano Marcianò e Tiziana Cascone riveleranno agli inquirenti di sapere che Scarano era cliente di alcuni noti antiquari.