Chi l’avrebbe mai detto! Angelo Brancaccio folgorato sulla via di Damasco. L’ex sindaco di Orta di Atella, detenuto per 416 bis nel penitenziario di Secondigliano, ha studiato da chierichetto per diventare diacono. Durante gli anni dietro le sbarre è stato il più assiduo frequentatore della chiesetta del carcere. Tenuto a distanza chilometrica dalle suore, per tutelare la loro incolumità, sempre accanto al cappellano per servire messa. Una vita cella e chiesa. Al punto che è sua intenzione intraprendere la strada del diaconato. Brancaccio riserva sempre moltissime sorprese. Infatti le surprises non finiscono qua. Il già primo cittadino ortese ed ex consigliere regionale ha già quasi composto la corona d’alloro di “dottore”. Si sta laureando in Scienze politiche. Gli mancano pochi esami. Ha finito la tesi. Non sappiamo su cosa verte. Potrebbe farla su un tema di cui è uno dei maggiori esperti del mondo: “Ecco come la politica può distruggere una città in tre anni”. Sottotitolo: “Intere montagne divorate per produrre le colate di cemento che tra il 2005 e il 2007 hanno sommerso Orta di Atella”. Una tesi del genere non sarebbe accettata dal presidente della commissione d’esame. Dovrebbe essere scritta a 100 mani. Brancaccio ha scontato la pena. Entro questa estate tornerà in libertà. Tutti gli altri esponenti della cupola non hanno mai messo piede in una cella.
Peggio ancora: non hanno mai subito nemmeno una condanna a un giorno nonostante le innumerevoli nefandezze amministrative compiute. In quegli anni si sono arricchiti decine e decine di politici, amministratori locali, dirigenti comunali e tecnici di ogni sorta (ciucci, bestie, banditi, spregiudicati). Fiumi di tangenti hanno inondato il mondo politico e quello in cui nuotavano i colletti bianchi. Se Brancaccio era il capoclan affaristico significa che dava ordini a un gruppo di suoi accoliti. Dove sono finiti? Dopo aver trovato un varco tra le maglie della giustizia sono scappati come topi di fogna. Ma non hanno perso il pelo dei lupi famelici. Si sono riciclati, qualcuno spingendosi fino in Svizzera, ripuliti e riproposti come il “nuovo che avanza”. Tutta gente che ha banchettato per decenni col boss Brancaccio. Chi sono? In ordine sparso: Salvatore Del Prete “Magò”, intascatore di mazzette (lo dice Brancaccio ai pm) e morbosamente legato al suo mentore-padrone, Gigino Ziello, attraverso il figliolo Espedito, Francesco Gianfranco Piccirillo, socio “occulto” dell’allora sindaco ortese (facevano affari d’oro attraverso padri e mogli prestanome), Tommaso Dell’Aversana, geometra con una casa di un paio di milioni di euro (come c… ha fatto?), Giovanni Migliaccio, che si è spartito una tangente di 500mila euro con il Padrino, Carmine Vozza, che oggi opera sotto le mentite spoglie del nipote Mario Vozza, mentre in passato ha fatto tesoro del rapporto con il capoclan Brancaccio. Poi c’è il dinosauro Nicola Iovinella, funzionario plenipotenziario dell’Utc, firmatario di tutti gli atti illegittimi in materia edilizia in cambio di ingenti somme di danaro (lo dice sempre l’allora sindaco ai magistrati). Il cerchio tragico ha una circonferenza molto più ampia. Ci fermiamo qui per non consumarci i polpastrelli.
Da anni tutti, esclusi i correi, continuano a porsi una domanda: come è stato possibile che nonostante prove schiaccianti e migliaia di testimoni tutti gli affiliati al clan Brancaccio l’abbiano fatta franca? Il motivo principale risiede nelle scelte investigative di Felice De Nicola, allora comandante dei carabinieri di Orta di Atella, che ha seguito una sola pista. Quella che riconduceva a Brancaccio. Semplice. L’avrebbe incastrato anche l’ispettore Zenigata. Di fronte a un’associazione a delinquere che ha gestito soldi per 5 miliardi di euro la dimostrazione dell’incapacità di condurre indagini serie e accurate è data proprio dal fatto che l’unico a pagarne le spese sia stato Brancaccio. Sia chiaro, se l’è meritato. Ma se lo meritavano, ognuno in base ai propri crimini, almeno altre 50 persone. Del resto il comandante De Nicola resterà nella storia amministrativa ortese e della Benemerita per aver sponsorizzato alle ultime elezioni comunali Del Prete “Magò”, suo confidente e amico, talmente persona perbene da essere stato “sciolto” per camorra soltanto due volte in 10 anni. I politici-banditi ci accuseranno di dire sempre le stesse cose. Bene, d’oggi in poi taceremo. L’ex sindaco Brancaccio tra un mese o due sarà di nuovo libero. E non avrà conti in sospeso con la giustizia. Farà nomi e cognomi. Ne siamo certi. Non se ne può più di porci con la cravatta che non vogliono togliere le mani da Orta di Atella.
Una rassicurazione per la figlia Tania Brancaccio, dottoressa in Giurisprudenza, poco pratica del codice penale: nell’ordinamento giuridico italiano vige il principio del “Ne bis in idem”. Per sicurezza glielo traduciamo in italiano: “Non due volte per la medesima cosa”. Glielo diciamo col cucchiaino: non si può essere giudicati due volte per lo stesso reato. Visto che ci troviamo, diamo un consiglio, che sarà sicuramente inascoltato, alla dottoressa in Giurisprudenza Tania Brancaccio: si astenga da post Fb ridicoli e patetici quanto mortificanti per lei e la sua famiglia. Peraltro, ci consenta anche questo, scritti in un italiano incespicante. Vabbè lasciamo stare le bambine. Torniamo a parlare dei “grandi”. Siamo certi che pur da diacono e laureato l’ex sindaco Brancaccio non perderà le sue vecchie abitudini. Si vocifera che una volta tornato a casa proporrà alla triade commissariale un “gemellaggio” tra via Sordi (ha degli affetti stabili) e via Petrarca (ci abita). Noi proporremo che via Petrarca diventi via Boccaccio. Fa pure rima con Brancaccio. Che fin dalla culla ha letto e riletto con avidità le novelle licenziose dello scrittore fiorentino. Anche in carcere dorme col Decamerone sul comodino.
Mario De Michele