Recovery Plan e mezzogiorno, un rapporto da chiarire. Le risorse da destinare al Sud dovrebbero, condizionale d’obbligo, il 40%. Accade però, almeno stando ai primi bandi — infrastrutture e asili nido — che in alcune regioni del Sud si scopre che quel 40% viene calcolato non, come si dovrebbe, sul totale delle risorse messe a disposizione dall’Europa all’Italia, ma su di una parte: 206 miliardi e non 222 che vengono fuori dalla somma tra Piano nazionale di ripresa e resilienza e piano complementare che segue le stesse regole del Pnrr anche se, in questo secondo caso, si tratta di fondi nazionali. Un calcolo su 16 miliardi in meno, che portano ad una perdita di fondi per il Sud, di poco meno di sette miliardi di euro. In buona sostanza ne arriveranno 82 e non 89 o, se si vuole, 88 e mezzo. Inoltre, su sei ‘capitoli o missioni’ del Pnrr, solo in due casi viene rispettato il criterio del 40%: infrastrutture (53%) e istruzione (46%). Non per i restanti quattro: Lavoro e inclusione sociale: 39%, le altre tre, Rivoluzione Digitale, Verde e Salute, anche meno del 39%. In Campania, dove il primo decreto porta 9 progetti ammessi ai finanziamenti del Pnrr, per circa 134 milioni di euro complessivi, a far emergere il problema è stato il governatore Vincenzo De Luca con alcune dichiarazioni rilasciate a Repubblica, quotidiano che aveva a sua volta intuito e sollevato la problematica. «Sostenere che al Sud è destinato il 40 per cento delle risorse non è fondato. Si arriva al 40 solo tenendo conto del trasferimento di fondi operato a danno del Fondo Sviluppo e Coesione, risorse peraltro già destinate al Mezzogiorno. In ogni caso, sarà un’impresa ardua realizzare le opere previste, se non si opera una sburocratizzazione radicale nelle procedure».

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