E’ ancora tensione tra Lega e Fratelli d’Italia sul terzo mandato per i governatori. E’ il ministro Luca Ciriani, di FdI, a salire sul ring. Il responsabile dei rapporti con il Parlamento smonta l’urgenza del tema e guardando al Veneto, storica roccaforte leghista tallonata dai meloniani e al voto nel 2025, precisa: “Senza peccare di modestia, noi vogliamo giocare tutte le partite. Per Zaia, che è stato un ottimo governatore, sarebbe il quarto mandato. L’alternanza potrebbe essere possibile”, dice Ciriani a SkyTg24 aggiungendo: “Nessuno è eterno, neanche Zaia”. Il ‘doge’ veneto, che potrebbe correre per l’ennesimo mandato, replica: “Mi sento un po’ come San Sebastiano con le frecce che arrivano”. Convinto che “l’eternità non è di questo mondo” ma anche sorpreso che “l’unico dibattito di questo Paese sia il sottoscritto”. Tace Matteo Salvini, concentrato sul ponte sullo Stretto e l’aggiornamento del progetto definitivo. Ma anche sulla sfida per le Europee di giugno. E nel question time al Senato, punzecchiando Matteo Renzi che lo interroga, rassicura: “Questa maggioranza arriverà alla fine del suo mandato, nel 2027, coesa e compatta, al di là di quello che scrive qualche giornale”. In ogni caso, il nodo veneto riaccende lo scontro tra alleati. Archiviato apparentemente quello sulla protesta degli agricoltori e l’esenzione dell’Irpef, il match nella maggioranza si sposta al Senato. Qui l’arma brandita è un emendamento della Lega che chiede di portare da 2 a tre i mandati dei presidenti di regione. Nei corridoi di Palazzo Madama, al momento, il ritiro non è contemplato. Anzi. E nonostante la proposta abbia spiazzato e irritato il resto della maggioranza, anche perché presentata al decreto che ha sancito l’election day a giugno (accorpando elezioni comunali ed europee) all’esame della commissione Affari costituzionali. Ciriani non nasconde le riserve sullo strumento: “Io non ho pregiudizi ma non mi sembra il caso di decidere di questo tema usando un decreto”. Il rischio è che, messo al voto, l’emendamento venga bocciato da FdI e Forza Italia. Prefigura la scena Giuseppe Conte: “La maggioranza litiga su tutto, sono d’accordo solo sulle nuove tasse e nuovi tagli”, denuncia il leader del M5s. In ogni caso il round è rimandato a giovedì: allora la commissione potrebbe votare l’emendamento sui mandati dei governatori. Giorni preziosi per trovare un accordo, considerando anche che il 21 febbraio Salvini, Meloni e Antonio Tajani saranno insieme a Cagliari per chiudere la campagna elettorale di Paolo Truzzu, candidato di coalizione faticosamente trovato in Sardegna. Allora, una via d’uscita potrebbe essere quella che i meloniani, e Ciriani stesso, offrono ai leghisti: “La questione va posta in un altro contesto, se ne può ragionare ma non in un decreto”. Ma la vecchia guardia leghista, specie quella veneta, non si rassegna e mantiene l’emendamento come grimaldello (magari solo tattico) per poter blindare il Veneto o almeno mettere agli atti che si sono battuti fino all’ultimo per difendere lo storico feudo. A maggior ragione a ridosso della corsa che ciascuno farà per le Europee, con la Lega che tiene d’occhio i consensi che potrebbero essere ulteriormente rosicchiati – è la preoccupazione – dall’eventuale candidatura di Meloni a Bruxelles. Non a caso nel partito di via Bellerio spunta anche l’ipotesi – che non trova comunque conferme ufficiali – di anticipare il congresso nazionale ad aprile, prima del voto di giugno, per blindare la leadership del segretario da eventuali contraccolpi post elettorali.

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