Ci sono vittorie che il tempo non affievolisce nel ricordo. Sono i successi che segnano un punto di svolta, un riscatto, lasciano un’impronta. E’ il caso del mondiale 1982, il ‘Mundial’ in Spagna, che l’Italia si aggiudicò, inatteso quanto meritato, battendo 3-1 la Germania Ovest in finale, a Madrid, sotto gli occhi esultanti del presidente Sandro Pertini. L’11 luglio saranno 30 anni, ma nemmeno la Coppa altrettanto imprevista del 2006 ha offuscato quell’impresa nella memoria collettiva dei tifosi.

L’Italia che i ragazzi scelti dal ct Enzo Bearzot fecero appassionare dopo una partenza in sordina era a secco di successi calcisticamente parlando – solo la Juve sapeva farsi rispettare in Europa – ed anche socialmente non se la passava bene, reduce da un decennio di terrorismo politico ed austerità economica. Era una Nazionale ancora scossa dalla bufera del primo calcio scommesse che, nel 1980, aveva coinvolto – tra gli altri – Paolo Rossi, futuro capocannoniere del torneo spagnolo. Ci volle tutta la saggezza tattica ed umana del friulano Bearzot – scomparso nel dicembre 2010 – per tenere unito quel gruppo che avrebbe cucito sulla maglia la terza stella battendo l’Argentina di Maradona e Passarella, il Brasile di Zico e Falcao, la Polonia di Boniek (che non giocò la semifinale) e la Germania di Rummenigge. Fu il ‘vecio’ a saper indirizzare quella rabbia da branco ferito verso un obiettivo comune. Con l’aiuto di un altro friulano, il capitano Dino Zoff e di un triestino, il dottor Leonardo Vecchiet, medico degli azzurri per 17 anni. Era un calcio molto diverso da quello di oggi, lontano dal gossip, dai social network, da internet. Per emulare le gesta dei propri idoli c’era il Subbuteo, non la Playstation. Ma anche 30 anni fa non mancavano le polemiche. Antonio Matarrese, allora presidente della Federcalcio, andava ripetendo che avrebbe voluto prendere a calci gli azzurri, tanta era la delusioni per i risultati di Vigo: tre pareggi senza nerbo (con Polonia, Perù e Camerun) e qualificazione strappata grazie alla differenza reti. Dall’Italia piovevano attacchi feroci, addirittura interrogazioni parlamentari. Per ritorsione verso certi articoli che non lesinavano critiche (sconfinando anche nei pettegolezzi sulla vita privata) i giocatori decisero il silenzio stampa. Qualcuno vi vide l’arma del successo finale. Marco Tardelli, l’uomo dell’urlo muto dopo il gol del 2-0 contro i tedeschi in finale, non è mai stato d’accordo: “Non ci ha aiutato il silenzio stampa, ci siamo aiutati da soli. In quella situazione era inevitabile smettere di parlare con la stampa”. Come portavoce venne scelto il taciturno Zoff. Per i giornalisti oltre al danno, la beffa. E via in questo clima verso le partite con Argentina (battuta 2-1, reti di Tardelli e Cabrini, memorabile il duello Maradona-Gentile, con tanto di maglia dell’argentino strappata) e Brasile. Il 5 luglio ai verde-oro bastava un pareggio. “Squadra di fenomeni veri – ha ricordato più volte Tardelli – però presuntuosi. Sul 2-2 volevano vincere”. Rossi-Socrates-Rossi-Falcao-Rossi è la litania che scandisce quell’altalena di emozioni. Lo juventino, fin lì oggetto misterioso, bussò tre volte alla porta di Valdir Peres in quella che i brasiliani ancora oggi ricordano come “la tragedia del Sarrià”. “Nel momento in cui Rossi segnò la terza rete mi sono sentito campione del mondo. Solo una grandissima squadra poteva reagire così alla mazzata del loro doppio pareggio”. La semifinale con la Polonia, l’8 luglio al Camp Nou di Barcellona, l’Italia la giocò con grande autorità e consapevolezza della propria forza. Il giovanissimo Bergomi sembrava un veterano, Paolo Rossi ormai era diventato ‘Pablito’ e non smetteva più di segnare: 2-0 con una sua doppietta. Domenica 11, la finale. I tedeschi hanno eliminato la Francia ai rigori. Antonioni, infortunatosi con la Polonia, non c’é. Graziani si fa male dopo pochi minuti, Cabrini sbaglia un rigore. Ma nulla scalfisce le certezze azzurre. Rossi, ancora lui, all’11’ della ripresa sblocca la partita. E 12 minuti dopo Tardelli segna il 2-0, la rete più rivista del calcio italiano, seguita da quella corsa pazza. E’ il gol che mette la coppa tra le mani di Zoff. Poi arriveranno il sigillo di Altobelli (Pertini in tribuna: “non ci prendono più”) e l’inutile rete di Breitner. L’arbitro brasiliano Coelho intercetta la palla e la solleva. Nando Martellini può gridare tre volte il suo “campioni del mondo” entrato nella storia. L’ultima immagine di quel Mundial è la partita a scopone, sull’aereo del ritorno. Il presidente Pertini e Zoff sfidano Bearzot e Causio (che vinceranno la partita). Sul tavolino brilla la Coppa.

 

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