La lunga attesa è finita, il sortilegio spezzato: 77 anni dopo Fred Perry, un altro britannico conquista i Championships: è Andy Murray che in finale ha battuto in tre set Novak Djokovic. Un epilogo ben più incerto e combattuto di quanto non suggerisca il punteggio (6-4 7-5 6-4), lungo tre ore e dieci, che restituisce agli inventori del tennis sull’erba quell’orgoglio calpestato da decenni di attese frustrate e sconfitte cocenti.

Per assistere alla rivincita del tennista Murray, battuto 12 mesi fa in finale da Roger Federer, si è scomodato il gotha della politica nazionale, dal Premier David Cameron al capo dell’opposizione Ed Miliband. Ma c’é pure il primo ministro della Scozia, Alex Salmond: ad un anno dal referendum per l’indipendenza quale migliore occasione della 127/esima finale di Wimbledon? All’ottava partecipazione,dunque, Murray riannoda i fili col passato glorioso del tennis britannico. Alle 17:24 (locali) della prima domenica di luglio, 28.128 giorni dopo il terzo, e ultimo, trionfo di Perry sui prati di Church Road, in una finale dall’esito scontata contro il barone Gottfried von Cramm.

Era il 1936, e in Gran Bretagna il re Edoardo VIII succedeva al padre Giorgio V prima di abdicare per unirsi in matrimonio con l’americana Wallis Simpson. In Italia veniva presentata la Fiat 500 Topolino, iniziava la guerra civile spagnola e nelle Olimpiadi di Berlino l’americano Jesse Owens incantava il mondo con 4 ori nell’atletica leggera. Un altro mondo, un altro millennio. Un’attesa estenuante che ha caricato Murray – al secondo successo Slam dopo gli Us Open 2012 – di una pressione (quasi) insostenibile. Materializzatasi nell’ultimo game del match, durato 13 minuti. Murray serve per il servizio e si porta 40-0. Tre match-point sulla racchetta.

Annullati con brutale irriducibilità da Djokovic che a sua volta però non sa sfruttare tre palle-break per allungare il match. Al quarto tentativo esplode la gioia dei 15mila spettatori del Centre Court, mai così schierati rumorosamente dietro un finalista. “E’ stato un game crudele, sicuramente resterà il più difficile della mia carriera – il commento di Murray -. La mia testa era ovunque, non ho avuto paura di perdere ma sembrava che non potessi più vincere”.

 

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