di Riccardo D’Antonio
Ma cos’è questo “Spread” di cui si sente parlare così spesso sui mezzi d’informazione come per strada? Innanzitutto diciamo che si pronuncia “spred” e non “sprid” o altre varianti fantasiose. La parola “spread” vuol dire “differenza” e ormai nel linguaggio comune indica appunto la differenza tra il rendimento di un BTp italiano decennale e un Bund tedesco di pari scadenza.
Per capire bene di cosa stiamo parlando, partiamo con delle definizioni: il BTp (Buono del Tesoro poliennale) e il Bund sono entrambi titoli del debito pubblico a tasso fisso, emessi per un determinato ammontare, che i rispettivi governi emittenti si impegnano a rimborsare ad una determinata scadenza futura (di solito da 3 a 30 anni). Nel caso dei BTp (ma per i Bund il discorso è analogo), nel momento in cui ci sono esigenze di cassa e a seconda dell’appetito degli investitori per le diverse scadenze o la relativa convenienza, il Tesoro ne emette di nuovi e si impegna a pagare agli acquirenti una cedola semestrale fissa.
Il rendimento dunque è composto dal flusso cedolare che il detentore del titolo incasserà e dal guadagno (o perdita) in conto capitale determinato dallo scostamento tra il prezzo di acquisto e il prezzo di rimborso (o rivendita) del titolo stesso. Il prezzo solitamente è quotato in base 100, in questo modo è più semplice fare i rapporti e capire la differenza tra prezzo di acquisto e prezzo di rimborso: il prezzo 100 si riferisce ad un titolo che paga una cedola pari a quella attualmente richiesta dal mercato e che secondo gli investitori non presenta particolari rischi di insolvenza.
Analogamente, se il mercato dovesse richiedere un rendimento maggiore dallo stesso titolo (e solitamente questo avviene o per allinearsi alle dinamiche dei tassi di interessi o in base alle considerazioni sulla solvibilità dell’emittente) il prezzo scende per poter adeguare in questo modo il rendimento complessivo (ricordiamoci che la cedola è fissa – ossia è stata determinata in fase di prima emissione e non viene più modificata durante tutta la vita del titolo). Ogni giorno quindi i BTp e i Bund avranno un rendimento di riferimento calcolato sul mercato secondario tra gli investitori (quello delle nuove emissioni – direttamente da parte del Tesoro viene chiamato mercato primario).
Lo spread appunto misura in punti base o “basis points”, in inglese, la differenza tra questi due tassi di interesse. Quindi, poiché un punto base equivale ad un centesimo di 1%, se un giorno il BTp decennale di riferimento rende il 6% e il Bund tedesco il 2% lo spread sarà di 4% ossia 400 punti base. Dopo avervi annoiati con questa descrizione didascalica, passo ora alla parte più importante e decisiva, che spiega anche il crescente interesse del pubblico per questa misura fino a pochi mesi fa oscura: perché questo differenziale cambia nel tempo? Che effetti esso ha sullo Stato italiano, sui privati cittadini, sugli intermediari finanziari e sulle aziende private? Lo spread cambia per effetto della percezione della relativa affidabilità dello Stato italiano (in qualità di debitore) rispetto allo Stato tedesco.
La Germania viene appunto presa come punto di riferimento perché è ritenuto lo stato più solido ed affidabile in Europa, quello con il più basso, se non addirittura inesistente, rischio di fallimento (“default”). Ogni giorno in conseguenza delle notizie sull’economia mondiale, le misure prese dal governo, le stime economiche, etc. gli investitori cambiano le proprie convinzioni in merito all’affidabilità dell’Italia e scambiando tra loro i titoli, a prezzi più alti o più bassi, determinano il rendimento che riflette queste prospettive e che loro richiedono per accollarsi il rischio di detenere in portafoglio il titolo fino a scadenza.
Lo spread dunque cambia sia perché l’Italia viene giudicata più o meno in grado di onorare i suoi impegni finanziari (facendo salire o scendere il tasso d’interesse) sia perché il rendimento dei titoli tedeschi scende (gli investitori spaventati dalle burrasche finanziarie si rifugiano nella sicurezza dei titoli tedeschi facendone salire il prezzo e conseguentemente scendere il rendimento) o sale (gli investitori vedono delle schiarite all’orizzonte e alleggeriscono le posizioni in attività poco rischiose e a basso rendimento).
Definito lo spread e come esso si determina di giorno in giorno vediamo cosa significhi in concreto per lo Stato italiano ed i conti pubblici: questo effetto è indiretto e dipende in maniera cruciale dallo scadenziario del debito (ossia dal suo profilo temporale). Per come abbiamo definito lo spread esso viene calcolato in base alle contrattazioni sul mercato secondario e quindi non inficia direttamente i conti pubblici dato che i BTp sono titoli a tasso fisso come dicevamo in precedenza.
L’effetto diventa assolutamente rilevante nel momento in cui per necessità di cassa o per rimborsare titoli precedentemente emessi, il Tesoro deve procedere all’emissione di un nuovo titolo. Poiché il nuovo titolo entra in diretta concorrenza con i titoli preesistenti deve, a parità di scadenza, offrire un rendimento simile: ecco che la dinamica dei prezzi sul mercato secondario influenza direttamente i conti pubblici. Se i titoli del debito pubblico italiano scadessero tutti contemporaneamente ci sarebbe un immediato aggravio del costo per interessi rispetto ad esempio a quanto lo Stato pagava l’anno scorso. Fortunatamente, la scadenza media dello stock di debito è 7 anni, ciò significa che ogni anno si deve rifinanziare “solamente” circa il 15% del totale. Da un lato, questa è un’ottima notizia perché dà un po’ di spazio di manovra per aggiustare i conti pubblici e influenzare le scelte dei mercati con politiche economiche adeguate che facciano diminuire il “premio” pagato per detenere i nostri titoli rispetto a quelli tedeschi.
Dall’altro, è una specie di profezia che si auto-avvera perché richiedere un tasso del 6,25% sui 300 miliardi di Euro in scadenza nel 2012, rispetto al 4,25% prevalente poco prima dell’aggravarsi della crisi, fa salire il deficit di 4,5 miliardi di Euro, che andrà finanziato con altre misure di “austerità” e contenimento della spesa che, se non bilanciate da opportune misure per lo sviluppo, hanno un effetto recessivo, il che fa ulteriormente lievitare l’onere, etc. Insieme alla dinamica sui conti pubblici, si deve valutare anche la dinamica sui conti delle banche e degli altri intermediari finanziari: essi sono sia investitori nei titoli pubblici sia “concorrenti” dei BTp con le loro stesse emissioni. Una dinamica negativa dei corsi dei BTp dunque si riflette negativamente sulle attività nei loro portafogli, che perdono di valore e devono essere opportunamente svalutati, sia su interessi maggiori che sono costretti a pagare sui depositi e sulle obbligazioni da loro emesse.
Il secondo effetto è quello più dannoso per i privati cittadini e per le aziende perché la maggiore onerosità del capitale per le banche si riflette in aumenti sui costi dei prestiti e sulla loro disponibilità ad erogarne. La strada del Governo Monti appare tutta in salita e lastricata di insidie molto pericolose: nessuno è più disposto a credere a promesse salvifiche dopo le delusioni del Berlusconismo e allo stesso tempo il tempo e gli spazi di manovra sono molto ridotti. La buona notizia è che i mercati agiscono non solo sullo status quo, ma soprattutto sulle prospettive future.
E proprio sulle prospettive è necessario intervenire con manovre che lungi dal colpire i soliti “noti”, cambino radicalmente la percezione dei mercati nei riguardi dell’Italia. L’infausta profezia dello spread altrimenti potrebbe avverarsi anche troppo rapidamente.