Non si arresta in Campania, il grande busniess sull’”emergenza” immigrati. Questa volta a finire sotto i riflettori degli attivisti è una struttura alberghiera in provincia di Salerno. Arrivando l’impressione è quella di aver fatto un salto nel vecchio far west americano, su una di quelle provinciali nel deserto dove si trovano vecchi motel annessi a pompe di benzina. Tutt’intorno solo campagne e alcune case, il primo centro abitato a qualche chilometro. A qualche metro dall’ingresso principale della struttura un vecchio cancello da su un cortile che porta verso il retro. Di lì pochi passi e in un attimo si viene accerchiati da richieste d’aiuto. Una quarantina di ragazzi subsahariani, due irakeni, diversi minori. È subito evidente che all’isolamento della struttura si aggiunge la mancanza totale di supporto che, è bene ricordare, dovrebbe seguire a specifiche contrattuali ben precise con le quali i proprietari di queste strutture si impegnano direttamente con la prefettura di riferimento . Siamo, ancora una volta, costretti ad ascoltare la storia di una lunga lista di assenze e diritti negati: assenza di mediazione linguistica e culturale, assistenza psicologica, legale e igienico-sanitaria. Raccontano i ragazzi : “Siamo 4 per camera e abbiamo diritto ad una sola boccetta di shampoo da dividere ogni mese, non abbiamo saponette, dobbiamo scambiarci la macchinetta per tagliare i capelli, ce n’è una per 50 persone e abbiamo tre forbici taglia unghie in tutto. Ci hanno dato un paio di vestiti fino ad ora, alcuni di noi sono riusciti a raccogliere qualcosa dalla strada e la lavatrice ci è arrivata solo ieri ( dopo un mese di permanenza)”.

“La mia famiglia – aggiunge uno dei ragazzi – è in Africa, non so nemmeno se sono vivi o morti né, tantomeno, loro sanno di me. Da quando ci hanno chiusi qui dentro non sappiamo come metterci in contatto con loro e non abbiamo i soldi per fare nulla”. Continua quello che sembra essere il portavoce “Siamo qui da circa un mese e nonostante alcuni di noi abbiano lamentato più volte malori abbiamo visto il medico una sola volta, qualche giorna fa”. Dei tiket di € 2.50 giornalieri, di cui pure avrebbero diritto, nessuno sembra saperne niente. La tutela di cultura e tradizioni, in ambito culinario e religioso risulta inesistente: ai cattolici non è permesso andare in chiesa, ai musulmani non vengono forniti tappetini per la preghiera e l’unica cosa che dicono di aver mangiato dal giorno dell’arrivo è pasta. E’ questo che raccontano i 40 ragazzi subsahariani, alcuni giovanissimi, sbarcati nell’entroterra salernitano. Sono il volto di una tragedia non nuova agli operatori del settore, realtà ben celate dall’ informazione mediatica che, limitandosi alle immagini degli sbarchi unite ai commenti al latere di qualche politico, mostra al mondo momenti stringati di una realtà ben più dura e complessa. La spada di damocle che pesa sulla testa dei molti rifugiati che si ritrovano sparsi sull’intero territorio nazionale è sempre la stessa: il business. I proprietari delle strutture ricevono, infatti, una cifra fissa giornaliera per ogni ospite, dai 25 ai 36 euro, a seconda del tipo di circuito di assistenza che viene attivato. Un notevole giro di soldi, dunque, che lungi dall’essere utilizzati, nel rispetto dei contratti, per garantire una permanenza dignitosa a chi è in fuga da fame, guerra e miseria, serve a rifocillare le casse di strutture che, spesso, in tempi di crisi, altrimenti chiuderebbero.

Peraltro, ci sarebbe quasi da sospettare, e il dubbio è più che lecito, che le zone scelte per ospitarli non siano proprio casuali, e siano in definitiva legate più ad esigenze stagionali di un dato territorio, come la raccolta di prodotti della terra, che ad altro. Nella stragrande maggioranza dei casi il massimo a cui possono aspirare è essere recuperati dal caporale di turno per qualche lavoro “spaccaschiena” nelle campagne limitrofe, così come ci confermano i ragazzi di un’altra struttura non lontana da lì. Dopo anni di sprechi, furberie e strumentali campagne mediatiche anti-immigrazione è evidente che lo stato emergenziale, con il quale ci si continua ad occupare di un processo ormai ordinario, fa comodo a molti. La storia si ripete e spesso gli attori non cambiano. Abbassare i costi per aumentare i profitti, sembra questo l’unico principio su cui si fonda la nostra accoglienza.

Luca Leva

Giulia Ambrosio

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