Gli studenti del Conservatorio di Napoli San Pietro a Majella chiedono un incontro “urgente e congiunto, con il Commissario Achille Mottola e la direttrice del Conservatorio Elsa Evangelista”, i quali “hanno il dovere di fornirci risposte finalmente adeguate e fatti concreti”. La richiesta degli allievi della classe di jazz di primo e secondo livello arriva dopo le polemiche sul degrado all’interno dell’antico e prestigioso istituto musicale, dove da alcuni anni è stata istituito il corso di jazz. “Pur pagando regolarmente tasse onerose, da tempo non viene garantito il semplice e basilare diritto allo studio – scrivono i giovani musicisti – Ciò avviene principalmente per due motivi. Uno di natura didattica e uno di natura strutturale. Il primo riguarda il mancato rispetto dell’offerta formativa garantita, in teoria, dal Miur, il secondo dipende da strumenti scordati, cattivo funzionamento dell’impianto elettrico, bagni inagibili, precarie condizioni igienico-sanitarie degli spazi a noi destinati. Sia chiaro – dicono gli studenti – a pagare questa situazione sono anche i nostri docenti, la cui competenza artistica e professionalità sono fuori discussione”. Su una pagina Facebook riservata proprio agli allievi del jazz, gli studenti hanno pubblicato altre foto che testimoniano le carenze strutturali delle aule. “Il futuro del jazz non è affidato al Conservatorio. Questo è sicuro”. A dirlo con rassegnazione è uno degli allievi del prestigioso conservatorio San Pietro a Majella, nel cuore del centro storico di Napoli, 187 anni di storia e una tradizione che parte da Gaetano Donizetti e passa per Renato Carosone e il maestro Riccardo Muti. Parla appoggiato a uno Steinway and Sons ormai esausto, che sembra la metafora di un conservatorio dal passato glorioso e dal presente difficile: “Nelle aule del corso di jazz l’impianto elettrico non funziona, gli strumenti sono scordati, il bagno è inagibile, c’è sporcizia dappertutto, manca perfino il riscaldamento. D’inverno dobbiamo utilizzare le stufe – racconta un altro studente che preferisce mantenere l’anonimato – Almeno la metà dei pianoforti di tutto il Conservatorio andrebbe cambiata. C’è quello della classe di canto, per esempio, che è completamente scordato. Spiegatemi come si può insegnare l’intonazione agli allievi se la nota è stonata”. Da alcuni anni a San Pietro a Majella, uno dei conservatori più antichi del mondo, è arrivato anche il jazz. Gli attuali 98 allievi della classe sono costretti a organizzare turni serrati per poter fare lezione nel locale a loro riservato: l’ex casa del custode. Tre piccole stanze alle quali si accede passando per un terrazzo fatiscente, con i muri scrostati e le mattonelle sconnesse. “La sala dove dovremmo fare lezione – spiega un musicista – è inutile perché i soffitti sono altissimi e l’acustica è pessima. Gli strumenti, poi, sono devastati dall’usura. Avranno almeno 40 anni”. Gli insegnanti di ruolo per il jazz sono due, composizione e chitarra jazz, gli altri sono a contratto, quindi l’istituto deve pagarli di tasca propria. Ma poiché le casse sono vuote, denunciano i docenti, si utilizzano contratti forfettari, per cui nell’offerta formativa risultano venti ore di strumento all’anno, ma in realtà se ne fanno quindici e qualcuno non riesce a superare le otto. “Non c’è un’adeguata offerta formativa, il jazz è una musica complessa – spiegano gli allievi napoletani – l’improvvisazione di cui si parla non nasce dal caso, occorre tanto studio. E a noi non è concesso”.

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