Ostenta soddisfazione e fiducia il premier Vladimir Putin all’indomani di una vittoria elettorale (49%) che suona come una sconfitta (-14%), una breccia nel suo granitico sistema di potere, un tradimento di meta’ Paese che comincia a voltargli le spalle dopo un decennio di leadership amata e incontrastata. ”L’approvazione delle leggi richiede 226 voti, noi ne abbiamo 238 e questo ci consentira’ di lavorare con calma e regolarita’, assicurando la stabilita”’, ha rassicurato oggi Putin durante una riunione di governo.

Su una lunghezza d’onda un po’ diversa il presidente Medvedev, che ha aperto ad una ”politica di coalizione” in parlamento. Pur avendo strappato la maggioranza assoluta grazie alla ripartizione dei voti raccolti dai tre partiti che non sono entrati in parlamento, Putin sa pero’ che la strada e’ in salita, anche quella per tornare al Cremlino a marzo. ”Ci aspettiamo che passi al primo turno”, dicono al quartier generale del suo partito, Russia Unita. Probabilmente sara’ cosi’, a meno che la sempre eterogenea e divisa opposizione non trovi un valido candidato comune per arrivare al ballottaggio. Ma per ora i vari leader di partito si sono gia’ detti tutti pronti a correre, dall’ultranazionalista Vladimir Zhirinovski al comunista Ghennadi Ziuganov, dal capo di Russia Giusta Serghiei Mironov a quello di Iabloko Grigori Iavlsinki. Con l’aggiunta dell’outsider Eduar Limonov, lo scrittore bolscevico di ‘Altra Russia’. Il problema per il premier, tuttavia, non e’ sbaragliare questi concorrenti, bensi’ recuperare un consenso personale in declino per restare al centro della scena. I bene informati raccontano che dopo l’esito del voto ci sono stati accesi dibattiti sulla strategia seguita finora e su quella da seguire per riconquistare l’elettorato. I passi falsi degli strateghi dietro il tandem si sono succeduti in modo evidente: lo ”strangolamento” politico dell’oligarca Prokhorov, come lo ha definito il politologo Gleb Pavlovski, l’annuncio verticistico dell’intenzione del tandem di scambiarsi i ruoli, una campagna elettorale priva di idee e ricca di censure, pressioni e condizionamenti, come hanno denunciato nel loro rapporto gli osservatori internazionali dell’Osce. Cosi’ oggi Putin e Medvedev si ritrovano non solo con un partito piu’ piccolo ma anche con un’elezione bocciata dalla comunita’ internazionale, che non ha fatto sconti di fronte al piu’ equilibrato quadro politico uscito dal voto. Il problema e’ quello della legittimita’ del processo democratico e delle istituzioni in un Paese che dichiara di voler ammodernarsi e di attrarre investimenti stranieri per diventare uno dei giganti economici mondiali. Dopo che i fischi allo stadio sono finiti nelle urne, Putin e’ di fronte ad un bivio: fare finta di nulla e tirare dritto usando la stabilita’ come un mantra, o aprire ad una stagione di riforme, rinnovando anche partito e governo con facce nuove. Recentemente ha spiegato che non esistono due Putin, che lui e’ e rimarra’ uguale. Ma intanto e’ il Paese che cambia.

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