“Alberto Stasi ha brutalmente ucciso la fidanzata che, evidentemente era diventata per motivo rimasto sconosciuto, una presenza pericolosa e scomoda, come tale da eliminare per sempre dalla sua vita di ragazzo ‘per bene’ e studente ‘modello’, da tutti concordemente apprezzato”. Lo scrivono i giudici della Corte d’Appello di Milano nelle motivazioni alla sentenza con cui hanno condannato a 16 anni di carcere Alberto Stasi per l’omicidio di Chiara Poggi. Secondo i giudici la “sola vittima” della vicenda di Garlasco “e’ Chiara Poggi, uccisa a 25 anni dall’uomo di cui si fidava e a cui voleva bene, che l’ha fatta definitivamente ‘scomparire’ in fondo alle scale”. I giudici ‘rispondono’ cosi’ alla difesa dell’ex studente bocconiano che “ha descritto – si legge nelle motivazioni di 140 pagine depositate oggi – l’imputato come la vittima di un caso giudiziario che lo ha costretto per oltre sette anni a doversi difendere, e anche lui, nelle dichiarazioni spontanee rese all’udienza del 17 dicembre, ha parlato di se’ in tali termini, sostenendo un vero e proprio accanimento nei suoi confronti”. “Dopo aver commesso il delitto – prosegue il magistrato che ha scritto le motivazioni, Barbara Bellerio – l’imputato e’ riuscito con abilita’ e freddezza a riprendere in mano la situazione e a fronteggiarla abilmente, facendo le sole cose che potesse fare, quelle di tutti i giorni: ha acceso il computer, visionato immagini e filmati porno, ha scritto la tesi, come se nulla fosse accaduto”. Secondo i magistrati, ci sarebbero stati molti errori nelle indagini sul delitto di Garlasco, avvenuto il 13 agosto 2007 quando Chiara Poggi venne uccisa nella sua abitazione di via Pascoli. “La Corte ha preso atto delle molte criticita’ di alcuni degli accertamenti svolti, riconducibili a errori e negligenze anche gravi, – si legge nelle motivazioni alla sentenza – e non solo all’inesperienza degli inquirenti: (…) ma non si puo’ negare che molte occasioni sia stato proprio l’imputato (personalmente e non solo) ad indirizzare e a ritardare le indagini in modo determinante e a se’ favorevole (quindi sostanzialmente fuorviante)”. “Quella che la difesa – proseguono i giudici – ha descritto come una condotta di ‘massima disponibilita” da sempre mostrata da Stasi in questo processo, e’ infatti suscettibile di una diversa lettura (…) tale atteggiamento, insieme al tempo trascorso dai fatti che ha poi irrimediabilmente compromesso o reso impossibili alcuni accertamenti, ha avuto effetti positivi soltanto per l’imputato, assolto sia in primo che in secondo grado”.

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