Possibile che in Italia, in un anno, Apple generi ricavi per appena 30 milioni di euro? A giudicare dal numero di iPhone in circolazione, e tenendo conto del loro prezzo, si direbbe proprio di no. Ed invece, almeno negli ultimi anni, il gruppo di Cupertino non era mai riuscito a superare quella soglia.

Colpa però, o merito, a seconda dei punti di vista, di una gestione fantasiosa della rete di vendita. Apple infatti vendeva in Italia, ma fatturava in Iralanda dove gode di un regime fiscale particolarmente vantaggioso. E per questo tra il colosso creato da Steve Jobs e il nostro Paese si era aperto un contenzioso conclusosi ora con un accordo da oltre 300mln di euro, 318 per l’esattezza, che Apple pagherà al Fisco italiano. La notizia dell’accordo arriva da Repubblica che racconta l’esito dell’indagine dell’Agenzia delle Entrate, coadiuvata dal procuratore di Milano Francesco Greco, che ha portato ad accertare i reali fatturati del colosso di Cupertino in Italia e a una contestazione di 880 milioni di euro per Ires evasa tra il 2008 e il 2013. Il giochetto era ed è lo stesso che Apple applica in tutto il resto del mondo: due società senza residenza fiscale incassano dall’Irlanda i diritti sulle vendite globali, due teste di un mostro che fagocitano gli utili, una delle Americhe, l’altra del Resto del mondo. Nei vari Stati, invece, operano società schermo che svolgerebbero solo attività di consulenza e a cui vengono riconosciuti ricavi pari a sostenere i costi di struttura. I veri utili finiscono così in Irlanda, dove grazie a due accordi con il governo locale (il primo nel 1991, il secondo nel 2007), Apple ha pagato per anni aliquote prossime allo zero. L’inchiesta, invece, puntava proprio a mostrare che le vendite sono state realizzate e gestite dall’Italia, mentre le irlandesi sono solo un terminale per i pagamenti.

 

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