Il nemico pubblico numero 1 della maggioranza ha un nome e un cognome: Eduardo Indaco. Otto consiglieri su sette (manca all’appello solo Raffaele Elveri) hanno protocollato un documento per chiedere l’integrazione dell’ordine del giorno del prossimo civico consesso (fissato il per il 19 marzo) con l’inserimento di due punti che sono tutto un programma: revoca della delibera di nomina del presidente dell’assise e nomina del presidente del consiglio comunale e del vice. Dopo la richiesta di dimissioni formulata a Indaco nei giorni scorsi attraverso un altro documento firmato da tutti gli esponenti della coalizione guidata da Giuseppe Mozzillo è giunta l’ora della resa dei conti. Il presidente del consiglio non si è dimesso. E, come annunciato, la maggioranza ha aperto un fronte di guerra per abbatterlo. Nel documento sottoscritto da Gennaro Della Porta, Alfonso Di Giorgio, Rosa Minichino, Francesco Ragozzino, Antonio Russo, Massimo Russo, Andrea Villano e Arturo Vislino viene contestato a Indaco di “non rappresentare più l’intero consiglio comunale ma solo una parte di esso”. A scatenare l’offensiva contro l’attuale “capo” del civico consesso sono stati due ordini di motivi: le veementi critiche di Indaco, a mezzo stampa e tramite un manifesto, contro il sindaco Mozzillo e il passaggio all’opposizione assieme al consigliere Nicola D’Ambrosio. Motivazioni di carattere politico, quindi. Comportamenti che, secondo i firmatari del documento, comportano “la perdita della neutralità e della terzietà imposte alla carica”. Il livello dello scontro ha quindi toccato l’apice. Ed è culminato con la richiesta di revoca della delibera di nomina con la conseguente indicazione del suo successore. Ma anche di un vice che all’atto dell’elezione di Indaco non fu nominato. Perché la maggioranza avverte solo oggi l’esigenza di eleggere anche il vicepresidente dell’assise? Semplice perché senza l’elezione del vice in caso di assenza del presidente i lavori consiliari sarebbero condotti dal consigliere anziano (più votato). E chi è? Proprio Indaco. Che nei piani di Mozzillo e company deve essere spazzato via. Annientato. Definitivamente. Dal canto suo il presidente del consiglio, dopo il documento con la richiesta di dimissioni, sembrava intenzionato a gettare la spugna, ma il repentino inasprimento dei toni lo ha indotto ad accettare la sfida. In sostanza ha detto: “vogliono la guerra, e guerra sia”. Una guerra che potrebbe spostarsi anche nelle aule di tribunale. Lo statuto comunale non prevede il siluramento del presidente del civico consesso per motivi politici. Le uniche cause che implicano la sua “dipartita” attengono allo svolgimento delle sue mansioni. In altre parole può essere cacciato solo per gravi inadempienze nell’esercizio delle sue funzioni. E proprio su questo punto batterà Indaco in caso di ricorso al Tar contro il suo defenestramento. Un’altra anomalia nella strategia della maggioranza è rappresentata dalla mancata presentazione della mozione di sfiducia (strumento statutario) contro il presidente del consiglio. Si è optato invece per la revoca (non prevista dallo statuto) della delibera di nomina. Come mai? Anche in questo caso ci potrebbe essere una spiegazione facilmente comprensibile. La sfiducia prevede un quorum dei due terzi dei voti (11), mentre per la revoca basterebbe solo la maggioranza (9). E se non sarebbe complicato più di tanto incassare il via libera della coalizione targata Mozzillo, ben più ostico sarebbe andare oltre i 9 voti. Il sindaco dovrebbe pescare anche nell’opposizione per “acquistare” (magari negli ultimi giorni di saldi) il “sì” di due esponenti della minoranza. Tutt’altro che un dettaglio. Da qui l’opzione revoca al posto della sfiducia.
Resta un ultimo aspetto che conferma come il “caso” Indaco abbia travalicato i confini politici per approdare nel campo dei personalismi. La richiesta di integrazione dell’ordine del giorno dell’assemblea consiliare del 19 marzo (c’è la surroga di Rosa Minichino diventata assessore con l’ingresso di Eleonora Misso) non è stata formulata nel corso della conferenza dei capigruppo. La riunione che si è tenuta l’altro ieri è diventata dopo pochi minuti un campo di battaglia. Tutti contro Indaco e Indaco contro tutti. Sono volate parole grosse. E per poco non si è arrivati alle mani. Particolarmente “violenti” i duelli tra Massimo Russo e il presidente del consiglio, e quello tra quest’ultimo e il socialista Antonio Russo. Per il clima rovente si è deciso di rimandare la conferenza dei capigruppo a ieri mattina alle 12.00. Ma tutti gli esponenti della maggioranza hanno disertato la riunione. Oltre a Indaco, erano presenti solo Antonino Santillo e Gennaro Giordano. Proprio l’esponente dei 5 Stelle ha denunciato sul suo profilo Fb il comportamento irresponsabile della maggioranza. “Oggi (ieri, ndr) alle 12.00 era prevista la consueta riunione dei capigruppo. Purtroppo abbiamo vissuto un’altra pagina spiacevole di questa maggioranza, più preoccupata a risolvere le diatribe interne che ad occuparsi dei reali e seri problemi esistenti nel nostro paese. Infatti – si legge nel post di Giordano – la riunione è stata disertata dai capigruppo della maggioranza, e questo ha costretto il presidente del consiglio comunale a indire il prossimo consiglio con un solo ordine del giorno (la surroga della Minichino, ndr)”. Ma non finisce qua. A dimostrazione del fatto che ormai Indaco è il nemico pubblico numero 1, i consiglieri di maggioranza che hanno chiesto l’integrazione dell’odg del consiglio comunale hanno dimenticato(?) di chiedere anche l’inserimento della presentazione della nuova giunta (con relativo piano programmatico). L’esecutivo si si è insediato il 16 febbraio e per statuto deve fare la sua prima uscita pubblica in assise al massino entro un mese dalla nomina degli assessori. Forse ha proprio ragione il pentastellato Giordano: la maggioranza pensa solo alle diatribe interne, con annessa e connessa distribuzione di poltrone, mentre i problemi della gente passano in secondo piano. E molte questioni ancora irrisolte, anzi mai affrontate, restano nei cassetti.
Mario De Michele