Gli ormai famosi 5 licenziati Fiat sembrano un fiume in piena e la posta in gioco, anche questa volta,è molto alta. Hanno scelto la sfida elettorale e – dicono –  l’hanno fatto “per dare una rappresentanza alla classe operaia, ai precari, agli ultimi di questa società”. Il comune nel quale hanno scelto di correre è di quelli importanti. Si tratta di Napoli e sono già al lavoro da un paio di settimane per la raccolta delle firme, che permetterà alla loro lista, formata da soli operai, di correre alle prossime comunali. Il candidato sindaco sarà Mimmo Mignano, che tutta Italia ha conosciuto un anno fa per essere  rimasto appollaiato sulla gru di P.zza Municipio, nel capoluogo partenopeo, per una settimana. L’intenzione, ovviamente ironica, era quella di accogliere Renzi, atteso in città per l’inaugurazione della Metropolitana. Il Premier, tuttavia, non certo figura amatissima in città, decise di tenersi alla larga. La storia dei cinque licenziati inizia circa 20-25 anni fa quando, entrati alla Fiat di Pomigliano, hanno iniziato un percorso di lotte e battaglie sindacali che li ha portati, a partire dal 2006, ad essere licenziati e reintegrati più volte. L’ultimo licenziamento, nel 2014, è arrivato dopo che i cinque hanno messo in scena il finto suicidio di Marchionne ai cancelli della fabbrica. L’iniziativa – che loro con forza rivendicano come satirica – nasceva, purtroppo, a seguito di due suicidi avvenuti sul serio: si tratta di Maria Baratto e Peppe de Crescenzo. Due operai fiat che non reggendo più il peso di anni in cassa integrazione hanno mollato togliendosi la vita. E’ così che è nata la provocazione dei 5 operai, nel ricordo dei compagni morti e con la speranza di non doverne seppellire altri. Un grido d’allarme e di dolore che, a quanto pare, la direzione Fiat non gradì. Abbiamo incontrato Mimmo Mignano – 48 anni – , Marco Cusano – 50 anni – ed Antonio Montella – 54 anni – e ci hanno spiegato le ragioni che li hanno spinti a costruire questa lista.

Dall’occupazione della gru di Piazza Municipio all’idea di presentare una lista indipendente di soli operai che correrà alle prossime comunali. Com’è avvenuto questo passaggio? (MImmo Mignano)

La sola lotta sindacale non basta. E’ necessaria anche la lotta su un piano immediatamente politico e noi, con la presentazione di una lista indipendente da qualsiasi partito politico, ci siamo presi la responsabilità di lanciare un laboratorio. Il nostro è un percorso che oggi, forse, ha qualche difficoltà a decollare ma che ha una prospettiva.

Nessuna aspirazione alla poltrona quindi?

(Mimmo Mignano)

Assolutamente no. Più semplicemente ci siamo presi la responsabilità di lanciare un messaggio, vogliamo prenderci la rappresentanza che ci spetta e che ci serve. Veniamo da anni di battaglie e non aspiriamo a poltrone. La nostra storia è chiara e senza macchie. Noi vogliamo rappresentare quei lavoratori che oggi nessuno rappresenta. Parlo di quelli che lavorano a 600 euro al mese per 12 ore al giorno o degli operai che vengono sfruttati e ricattati in fabbrica. Anche nei movimenti, purtroppo, non esiste rappresentanza operaia né viene affrontata la questione del lavoro. L’anno scorso lanciammo l’iniziativa per creare una cassa di resistenza in sostegno ai licenziati che, di fatto, non è stata supportata se non in una primissima fase.

Come si sopravvive al licenziamento?

(Mimmo Mignano)

Io, negli anni, ho fatto ricorso anche agli usurai. Oggi, a causa del licenziamento, sopravviviamo con 200 euro al mese che ci passa il Si-Cobas, sindacato al quale siamo iscritti. Per il resto ci arrangiamo. Eppure non ci fermiamo, parte dei 200 euro continuiamo ad utilizzarli per stampare manifesti e volantini per le iniziative che mettiamo in campo.

Cos’è che non funziona nel mondo del lavoro?

(Mimmo Mignano)

Il jobs act ha rappresentato la definitiva  cancellazione di qualsiasi diritto, non solo di chi sta in fabbrica ma di tutta la futura generazione di sfruttati Semplificando potremmo dire che Marchionne e Renzi hanno legalizzato il caporalato dentro e fuori le fabbriche. Tutto ciò è stato possibile perché non hanno incontrato ostacoli sul loro percorso. Non ricordo nessuna lotta seria che sia durata, negli ultimi anni, al di là di qualche grossa giornata di mobilitazione.

E a Napoli, invece, cosa c’è che non va?

(Mimmo Mignano)

A Napoli non va quello che non va in tutto il resto d’Italia. Voi pensate che l’operaio che lavora 12-13-14 ore al giorno abbia il tempo di viversi la città liberata del Sindaco De Magistris? Io non credo. A chi dice invece che Napoli è piena di turisti rispondo sì, li vedo anch’io. Non possiamo, però, non porci il problema che chi ci versa il caffè guadagna 500 euro al mese. E’ proprio questa la gente a cui vogliamo dare rappresentanza.

Il prossimo 5 aprile ci sarà l’udienza d’appello per il vostro licenziamento. Cosa via ha tolto la lotta contro la Fiat? (Marco Cusano)

La lotta contro la Fiat, che per vent’anni abbiamo portato avanti dall’interno della fabbrica ci è costata tanto. Pensa che quando è arrivato l’ultimo licenziamento, nel giugno 2015, eravamo già in cassa integrazione da anni. La Fiat ha distrutto vite, famiglie, relazioni coniugali. Siamo stati isolati dai sindacati, nelle nostre case e tra i compagni di lavoro. Ma non ci siamo mai fatti togliere la possibilità di immaginare un futuro, mai sono riusciti a toglierci la forza per lottare e andare avanti. E’ stato difficile e lo è tutt’ora. Ma come vedi siamo ancora qui. Continuiamo a dire che il nostro licenziamento è ingiusto, illegale ed incostituzionale.

 

 

Luca Leva

 

 

 

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